Deducibilità compensi amministratori da salvaguardare
di Alessandro BonuzziLa deducibilità dal reddito d’impresa dei compensi spettanti agli amministratori ha sviluppato, in passato, un ampio dibattito mosso dalle contestazioni avanzate dall’Amministrazione finanziaria, la quale ne ha disconosciuto la legittimità, generalmente, in forza dell’assenza di congruità nell’ammontare, oppure di una specifica delibera assembleare.
In merito al primo aspetto, con la risoluzione n. 113/E/2012, l’Agenzia delle entrate ha affermato che “in sede di attività di controllo, l’Amministrazione finanziaria può disconoscere totalmente o parzialmente la deducibilità dei componenti negativi di cui si tratta in tutte le ipotesi in cui i compensi appaiano insoliti, sproporzionati ovvero strumentali all’ottenimento di indebiti vantaggi”.
Tale indirizzo è stato più volte sostenuto anche dalla giurisprudenza di legittimità (sentenza n. 3243/2023, sentenza n. 9036/2013 e sentenza n. 24379/2016). In particolare, la Corte di cassazione, nella sentenza n. 24379/2016 ha stabilito che “rientra nei poteri dell’Amministrazione finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d’impresa; pertanto la deducibilità dei compensi degli amministratori di società … non implica che l’Amministrazione finanziaria sia vincolata alla misura indicata nelle deliberazioni della società, competendo all’Ufficio la verifica della attendibilità economica di tali dati. Inoltre, ai fini della generale deducibilità dei costi non è sufficiente che il contribuente fornisca la prova della effettività dei componenti negativi (ossia che essi non sono inesistenti) dovendo anche fornire la prova della loro inerenza, anche in senso quantitativo, alla produzione di ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito …; anche sotto tale profilo l’Amministrazione finanziaria è legittimata a negare la deducibilità parziale di un costo ritenuto sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa e rispetto al quale la società non fornisca plausibili ragioni a giustificazione dell’ammontare del medesimo”.
Pertanto, sarebbe bene adottare un comportamento cautelativo, evitando di stabilire compensi di importo particolarmente elevato in relazione al volume dell’attività della società. In effetti, esiste anche giurisprudenza che ha sostenuto l’impossibilità per l’Amministrazione finanziaria di contestare la congruità dei compensi; tuttavia, tale indirizzo difforme risulta ad oggi minoritario.
Con riferimento alla delibera assembleare, in assenza di una specifica decisione dei soci che vada a fissare il compenso spettante agli amministratori, laddove anche lo statuto non si pronunci in merito, sorge la possibilità per l’Agenzia delle entrate di disconoscere il relativo costo per mancanza del requisito della certezza. Sul punto, però, si segnala che la giurisprudenza si è espressa in senso contrario, affermando che l’assenza di una specifica delibera non determina di per sé l’indeducibilità del compenso dell’amministratore, laddove questo figuri quale costo d’esercizio nelle scritture contabili e così nel bilancio. In tal senso, la CTP di Lucca che, nella sentenza n. 64/2006, ha stabilito che “l’assenza di una delibera ad hoc non rende inesistente o indeterminato lo stesso compenso, essendo stato quantificato in uno con l’approvazione del bilancio”.
Ad ogni modo, onde evitare a monte qualsiasi contesa con il Fisco, si consiglia di far mettere a verbale il compenso spettante agli amministratori e di allibrare il documento sul libro delle assemblee dei soci.
Si ricorda, infine, che i compensi degli amministratori sono deducibili per la società secondo il principio di cassa, ai sensi dell’articolo 95, comma 5, Tuir, e quindi nel periodo d’imposta in cui sono corrisposti. Ciò al fine di “far coincidere il periodo d’imposta in cui i compensi sono assoggettati a tassazione in capo all’amministratore con quello in cui gli stessi sono dedotti dal reddito dell’erogante” (circolare n. 57/E/2001). In particolare, “lo stesso legislatore, nel consentire la deducibilità al momento della corresponsione, si è assicurato che non venissero effettuati arbitraggi consistenti nella deducibilità per competenza del costo del compenso in capo alla società e nel rinvio della tassazione al momento della percezione da parte dell’amministratore” (risoluzione n. 113/E/2012).
Sostanzialmente, la normativa fiscale si preoccupa di assicurare una perfetta simmetria tra la tassazione del compenso in capo all’amministratore e la deduzione dello stesso in capo alla società. Tantoché, in caso di amministratori co.co.co., il principio di cassa allargata trova applicazione sia in capo al collaboratore, sia in capo al datore di lavoro. Pertanto, i compensi percepiti/corrisposti entro il 12.1.2024 riferiti a prestazioni rese nel 2023:
- concorrono alla formazione del reddito dell’amministratore dell’anno 2023;
- sono deducibili dal reddito d’impresa della società del periodo d’imposta 2023.
Va da sé che il principio di cassa allargata non trova applicazione, quando l’amministratore opera come professionista; in tal caso opera il principio di cassa “puro”.