Deduzione automatica dei costi correlati ai maggiori ricavi solo per l’accertamento induttivo
di Angelo GinexIn tema di determinazione del reddito d’impresa, l’articolo 109, comma 4, Tuir stabilisce che le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio di competenza.
Tuttavia, laddove, in ipotesi di accertamento “induttivo” di maggiori ricavi non contabilizzati, non venissero riconosciuti i costi correlati, tale disposizione confliggerebbe con il principio della capacità contributiva di cui all’articolo 53 Cost.
Ed infatti, in deroga al principio di previa imputazione a conto economico, la giurisprudenza è costante nel ritenere che l’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento “induttivo”, deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti; conseguentemente, qualora per alcuni proventi non sia possibile accertare i costi, questi possono essere determinati induttivamente, perché diversamente si assoggetterebbe ad imposta, come reddito d’impresa, il profitto lordo, anziché quello netto, in contrasto con il parametro costituzionale della capacità contributiva di cui all’articolo 53 Cost. (cfr. Cass. sent. 17.07.2019, n. 19191; Cass. sent. 20.01.2017, n. 1506; Cass. sent. 19.02.2009, n. 3995; Cass. sent. 25.11.2008, n. 28028).
Recentemente, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13119 del 30.06.2020, ha ribadito tale orientamento, affermando che: «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l’Amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nell’art. 38 (accertamento sintetico) o nell’art. 39 (accertamento induttivo), bensì nell’art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973 (cd. accertamento d’ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, pena la lesione del parametro costituzionale della capacità contributiva, senza che possano operare le limitazioni previste dall’art. 75 (ora 109) del d.P.R. n. 917 del 1986 in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente».
Detto in altri termini, per i Giudici di vertice, in presenza di un’omessa dichiarazione dei ricavi da parte del contribuente e di una sua mancata risposta al questionario, l’accertamento “induttivo” dei maggiori ricavi non contabilizzati presuppone l’esistenza necessaria di costi detraibili da determinarsi anche induttivamente.
Dunque, fermo restando che l’Amministrazione finanziaria può limitarsi sic et simpliciter a recuperare a tassazione i maggiori ricavi non dichiarati dal contribuente, non avendo alcun obbligo di riconoscere d’ufficio i costi correlati a tali ricavi, la giurisprudenza di legittimità si esprime assolutamente a favore della deduzione degli stessi, in ragione del principio della capacità contributiva.
Invece, in ipotesi di accertamento analitico o analitico-induttivo, si afferma in maniera altrettanto costante che è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario, dovendosi riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” ex articolo 39, comma 2, D.P.R. 600/1973.
In particolare, la Suprema Corte ha più volte sottolineato che: «L’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario» (cfr. Cass. ord. 7.11.2019, n. 28697; Cass. ord. 16.01.2019, n. 899; Cass. ord. 29.09.2017, n. 22868).
D’altronde, i soggetti obbligati alla redazione delle scritture contabili, pur non potendo provare circostanze omesse nelle scritture stesse o in contrasto con le loro risultanze, sono comunque ammessi a provare le spese di cui all’articolo 109, comma 4, Tuir sulla base di elementi certi e precisi.
In definitiva, quindi, viene sempre ammessa (almeno da un punto di vista teorico) la deducibilità dei costi correlati ai maggiori ricavi, con la differenza che, in ipotesi di accertamento “induttivo”, questi devono essere riconosciuti de plano in misura forfettaria, mentre, in caso di accertamento analitico o analitico-induttivo, il contribuente deve dimostrare, con onere probatorio a suo carico, l’esistenza dei presupposti per la deducibilità degli stessi.