Delega fiscale 2023: cosa cambierà per il procedimento accertativo – seconda parte
di Gianfranco AnticoMaurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365Come abbiamo visto nella prima parte del nostro precedente intervento, l’articolo 17, L. 111/2023, indica principi e criteri direttivi specifici per la revisione dell’attività di accertamento, prevedendo:
- misure di semplificazione del procedimento accertativo e;
- un’applicazione generalizzata del contraddittorio.
Altre norme sono rivolte ad assicurare una maggiore certezza del diritto tributario, anche attraverso la diminuzione degli aggravi degli oneri amministrativi a carico del contribuente.
Sempre in un’ottica di potenziamento degli istituti di adesione spontanea, al numero 2) della lettera f), del comma 1, dell’articolo 17, L. 111/2023, si delega il Governo a introdurre il concordato preventivo biennale, sulla falsariga del concordato preventivo, istituito in forma triennale dall’articolo 6, L. 289/2002 e trasformato in biennale dall’articolo 33, D.L. 269/2003, dopo le modifiche apportate dall’articolo 2, comma 10, L. 350/2003 (circolare n. 5/E/2004). L’auspicio è che si possa giungere ad uno strumento “definitivo”, senza i ripensamenti che hanno caratterizzato il precedente tentativo.
Attraverso questo strumento, i contribuenti avranno la possibilità di aderire alla proposta sviluppata dall’Agenzia delle entrate, in base all’incrocio delle banche dati, ovvero anche sulla base degli indicatori sintetici di affidabilità per i soggetti a cui si rendono applicabili, ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap, pagando quanto pattuito in due anni, con l’impegno, previo contraddittorio con modalità semplificate, di accettare e a rispettare la proposta.
Nella Relazione illustrativa che accompagna il testo di riforma si sottolinea che la disposizione ha la finalità di favorire l’emersione di materia imponibile e di offrire al contribuente l’opportunità di rendere certa la propria posizione tributaria. Conseguentemente, sono considerati irrilevanti, ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap, nonché dei contributi previdenziali obbligatori, eventuali maggiori o minori redditi imponibili rispetto a quelli oggetto del concordato, fermi restando:
- gli obblighi contabili e dichiarativi, nonché;
- l’applicazione dell’Iva secondo le regole ordinarie, comprese quelle riguardanti la trasmissione telematica dei corrispettivi e la fatturazione elettronica.
Viene prevista, inoltre, la decadenza dal concordato nel caso in cui, a seguito di accertamento, risulti che il contribuente:
- non ha correttamente documentato, negli anni oggetto del concordato stesso (o in quelli precedenti) ricavi o compensi per un importo superiore in misura significativa rispetto al dichiarato ovvero;
- ha commesso altre violazioni fiscali di non lieve entità. Resta inteso che bisognerà attendere la futura emanazione delle disposizioni prescritte, per comprendere cosa si intende, in termini percentuali, per “variazione significativa” (magari uno scostamento del 33% o del 50%).
Il Governo è altresì delegato ad adottare alcune misure (lettera g, comma 1), articolo 17, L. 111/2023), volte ad assicurare la certezza del diritto tributario, attraverso:
- la previsione della decorrenza del termine:
- di decadenza per l’accertamento a partire dal periodo d’imposta nel quale si è verificato il fatto generatore per i componenti ad efficacia pluriennale, e la perdita di esercizio, per evitare un’eccessiva dilatazione di tale termine;
- per l’obbligo di conservazione delle scritture contabili e dei supporti documentali, fermi restando i poteri di controllo dell’Amministrazione finanziaria sulla spettanza degli eventuali rimborsi richiesti.
Il caso pratico evidente attiene al processo di ammortamento: attualmente (si pensi al caso limite dell’ammortamento in cinquanta anni previsto per i beni immateriali rivalutati ai sensi dell’articolo 110, D.L. 104/2020), l’accertamento può essere esperito in riferimento a ciascun ammortamento stanziato e – se per caso dovesse sorgere un contenzioso – la conservazione della documentazione dovrà avvenire fino al passaggio in giudicato della vicenda. Insomma, il rischio concreto è che per più generazioni la casistica resti irrisolta. La questione è quanto mai attuale ed è stata più volte sottoposta al giudizio della Corte di Cassazione, avendo già ricevuto un passaggio a sezioni unite (sentenza n. 8500/2021). Gli Ermellini riuniti prendono atto che, al di là dell’ipotesi dedotta della svalutazione su crediti degli intermediari finanziari, la questione devoluta investe una casistica ampia e di notevole riscontro pratico, caratterizzata dalla rilevanza pluriennale di determinati componenti reddituali; cioè di elementi economici e patrimoniali che – per quanto emersi e consolidatisi nella loro genesi causale sostanziale in una determinata annualità d’imposta – sono tuttavia fiscalmente ammessi a produrre effetti sulla formazione della base imponibile di annualità successive, eventualmente anche molto lontane da quella di origine. Per le Sezioni Unite, il Fisco non ha l”obbligo, sancito da decadenza o preclusione, di contestare il componente pluriennale fin dalla sua prima dichiarazione, quanto soltanto la ‘facoltà‘ di farlo per rettificare comportamenti e scelte ritenute non corrette; “l’obbligazione tributaria, pur consistendo in una prestazione a cadenza annuale, ha carattere autonomo ed unitario, ed il pagamento non è mai legato ai precedenti bensì risente di nuove ed autonome valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi“. Trattasi di un tema di elevata attualità, che si spera possa trovare adeguata soluzione.
- la revisione dei termini di accertamento dell’imposta sui premi di assicurazione, al fine di allinearli a quelli delle altre imposte indirette, del relativo apparato sanzionatorio, nonché delle modalità e dei criteri di applicazione dell’imposta, nell’ottica della razionalizzazione delle relative aliquote;
- la limitazione della possibilità di fondare la presunzione di maggiori componenti reddituali positivi e minori componenti reddituali negativi sulla base del valore di mercato dei beni e servizi oggetto delle transazioni ai soli casi in cui sussistono altri elementi rilevanti a tal fine.
Già in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’articolo 5, comma 3, D.Lgs. 47/2015, ha escluso che l’Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile (o di azienda) solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini di altra imposta commisurata al valore del bene, posto che la base imponibile ai fini Irpef è data, non già dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo;
- la limitazione della possibilità di presumere la distribuzione ai soci del reddito accertato nei riguardi delle società di capitali a ristretta base partecipativa ai soli casi in cui è accertata, sulla base di elementi certi e precisi, l’esistenza di componenti reddituali positivi non contabilizzati o di componenti negativi inesistenti (delimitandone così il perimetro), ferma restando la medesima natura di reddito finanziario conseguito dai predetti soci.
Ricordiamo, al riguardo, che è ormai prassi consolidata degli uffici presumere la distribuzione di utili in nero ai soci delle società di capitali “a ristretta base proprietaria o familiare”, laddove l’attività di controllo sulla compagine sociale si sia conclusa con la ricostruzione di maggiori ricavi. Tale modus operandi, di costruzione meramente giurisprudenziale, trae fondamento dal fatto che una tale compagine sociale così caratterizzata (composta cioè da un numero esiguo di soci e/o legati da vincolo familiare) integra tra i suoi partecipanti un vincolo di solidarietà o un legame familiare, che costituisce il fatto noto dal quale presumere quello ignoto della distribuzione ai soci del predetto reddito occulto societario. In pratica, la ristretta base societaria fa ritenere plausibile in tutti la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza della esistenza di utili extrabilancio, alla cui distribuzione è plausibilmente ragionevole ritenere che tutti i soci abbiano, in assenza di validi elementi deponenti in senso contrario, partecipato in misura conforme al loro apporto sociale.