Delibera di aumento di capitale al servizio di clausole di earn-out
di Fabio LanduzziNelle operazioni di compravendita di partecipazioni e di aziende sono piuttosto frequenti le clausole che vanno sotto il titolo comune di “earn-out”, le quali si sostanziano in forme di riconoscimento di una maggiorazione del prezzo di cessione al raggiungimento di determinati obiettivi.
Tali clausole possono presentarsi, seppure meno di frequente, anche nelle operazioni che si realizzano mediante aumento di capitale a pagamento, dove il conferente assume la posizione del cedente, e la società conferitaria quella del cessionario, ed in cui il prezzo è rappresentato dalle azioni o quote rappresentative del capitale della seconda entità che vengono assegnate alla prima.
L’argomento è stato oggetto di una interessante Massima del Consiglio del Notariato di Milano (la n. 170) che ha affrontato la fattispecie sotto il profilo, tutt’altro che semplice, della combinazione di clausole di questo contenuto con la disciplina civilistica delle operazioni sul capitale.
In altre parole, la presenza della clausola di earn-out rende il prezzo della transazione in parte determinabile in funzione del verificarsi di taluni eventi (il raggiungimento di obiettivi), così che quando il corrispettivo è espresso in capitale sociale della conferitaria/cessionaria, occorre che qualunque sia lo scenario che verrà a realizzarsi l’aumento del capitale (e l’eventuale sovrapprezzo) sia pienamente coperto dal valore reale del compendio apportato.
Riportando l’argomento sul fronte della costruzione della delibera di aumento di capitale, ed ipotizzando il caso di una conferitaria costituita in forma di SpA, le cui azioni riportano il valore nominale espresso, si ha che ci si trova dinanzi a due emissioni:
- la prima riguarda le azioni da assegnare al sottoscrittore al momento del conferimento, e non è soggetta ad alcuna condizione;
- la seconda ha invece per oggetto le azioni da assegnare al sottoscrittore solamente a titolo di earn-out; quest’ultima, quindi, è incerta e comunque è rinviata ad un momento successivo, quando si sarà o meno verificata la condizione rappresentata dal conseguimento degli obiettivi prefissati.
Avremo perciò una situazione in cui il conferente sottoscrive sin dall’origine tutte le azioni oggetto delle due emissioni eseguendo il conferimento dovuto per adempiere alla sottoscrizione ma una parte delle azioni, seppur sottoscritte e liberate, non sono immediatamente emesse, bensì lo saranno solo se e quando le condizioni pattuite per l’earn-out si saranno avverate.
La situazione interessa anche il lavoro dell’esperto chiamato alla redazione della relazione giurata di stima che accompagna il conferimento; infatti, se il valore dell’apporto in natura fosse capiente rispetto ad entrambe le emissioni (inclusa quella a titolo di earn-out) non si avrebbero particolari criticità.
La Massima 170 reca un esempio a questo riguardo: la società A conferisce alla società B un ramo d’azienda, con valore stimato e attestato di 125; la società B delibera l’emissione immediata di 100 azioni (valore nominale di 1 euro ciascuna) e l’emissione successiva di ulteriori 25 azioni a titolo di earn-out, subordinatamente al raggiungimento di un determinato obiettivo reddituale. In questa circostanza, tutto l’aumento di capitale e eventuale sovrapprezzo trova copertura nella relazione di stima ex articolo 2343 cod. civ..
Non si può però escludere che l’esperto attesti un valore inferiore al totale (prima e seconda emissione).
Per evitare allora che diventi necessaria una nuova valutazione, la relazione di stima deve individuare degli elementi, al cui verificarsi è subordinato l’earn-out, il cui accertamento sia oggettivamente riscontrabile. La Massima 170 propone un esempio: la società A conferisce alla società B un ramo d’azienda, il cui valore attuale è stimato e attestato pari a 100.
La società B delibera l’emissione immediata di 100 azioni e l’emissione successiva di ulteriori 25 azioni a titolo di earn-out, sempre soggetta alla verifica dell’avverarsi dell’evento sotteso.
In tal caso, la deliberazione di aumento sarebbe rispettosa dei requisiti previsti dagli articoli 2343 e ss. cod. civ., solo qualora la relazione peritale attestasse che il valore del ramo d’azienda (oggi pari a 100) sarà pari a euro 125 qualora si verificasse l’evento al quale è subordinata l’assegnazione delle azioni a titolo di earn-out.
Un’ulteriore questione si ha quando la previsione dell’earn-out è contenuta in una delibera di aumento di capitale ma è condizionata alla sussistenza di una riserva da imputare a capitale al momento in cui dovranno essere emesse le azioni oggetto di earn-out.
In questa circostanza il bene viene conferito e assunto dalla conferitaria per l’intero valore stimato comprendente anche la parte destinata a coprire l’emissione delle azioni al servizio dell’earn-out.
Tornando all’esempio della Massima 170, la società iscrive da subito un sovrapprezzo di 25 pari alla differenza tra il valore attuale del bene conferito e il valore nominale delle azioni emesse al momento del conferimento, con la previsione della successiva imputazione di tale riserva al capitale.
Qui il punto critico sta nel fatto che al momento in cui si dovrebbero emettere le azioni oggetto di earn-out quella riserva esista ancora e non sia stata erosa da eventuali perdite.
Occorrerebbe allora individuare una qualche modalità e ragione che giustifichi l’aumento di capitale al servizio della seconda emissione a favore del socio conferente, quand’anche la riserva originariamente iscritta fosse nel frattempo venuta meno.