12 Settembre 2015

Dell’incertezza non v’è certezza

di Massimiliano Tasini
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L’incertezza interpretativa può essere rilevata dal giudice anche se non dedotta in giudizio dal contribuente, ma deve trattarsi di incertezza oggettiva – come, ad esempio, nei casi di divergenze di contenuto tra atti ufficiali dell’Amministrazione – non anche di incertezza derivante da condizioni soggettive del ricorrente”.

La pronuncia della CTR che ha annullato il ruolo e la cartella in relazione all’irrogazione delle sanzioni pecuniarie, applicando ex officio la esimente ex art. 8 D.Lgs. 546/1992, esula dai limiti del “tantum devolutum” ed incorre pertanto nella violazione dell’art. 112 C.p.c., dovendo ritenersi esclusa, in considerazione del modello impugnatorio-misto adottato dal Legislatore per il giudizio tributario, la rilevabilità di ufficio – in assenza di specifica eccezione del contribuente – dei presupposti applicativi della esimente” (cfr. Corte di Cassazione, sez. V, sentenza 25676 del 24/10/2008; id. Sentenza n. 24060 del 12/11/2014).

Sebbene possa sembrare un nonsenso, la prima massima si deve alla Circolare n. 98/E del 1996 del Ministero delle Finanze; la seconda è uno stralcio della sentenza 12768 del 19 giugno 2015 della Suprema Corte.

Nella citata sentenza, è detto che la generica richiesta di annullamento della cartella esattoriale o del ruolo svolta in sede di chiusura del ricorso non è di per sé sufficiente a costituire esplicita domanda di annullamento delle sanzioni; e, senza una domanda, il Giudice non può dare una risposta. E se la dà vìola l’art. 112 c.p.c..

Nemmeno basta dire che il ruolo è carente, quanto a profilo motivazionale, nella quantificazione delle sanzioni tributarie, perchè un conto è stabilire se una sanzione sia o meno dovuta in virtù di una (dedotta o meno) incertezza della norma; ed altro conto è stabilire se la cartella indichi i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche sottesi alla cartella o a ruolo.

Ancora una volta si dimostra la grande tecnicalità sottesa alla corretta redazione di un ricorso tributario, atto che deve indicare con chiarezza i motivi in diritto ed in fatto, e questi motivi non possono in alcun modo essere integrati nel corso del giudizio, salva la sopravvenienza di nuovi documenti che, ai sensi dell’art. 32 D.Lgs. 546/1992, la giustifichi.

La Suprema Corte aveva affermato in passato che la declaratoria di applicabilità dell’art. 8/546 postula la pendenza dinanzi al Giudice della lite sulle sanzioni; aveva ancora ritenuto che la questione è sindacabile in sede di giudizio di legittimità (Cass. 24067/2007); nondimeno, la stessa Corte (sentenza 24670/2007) aveva pure precisato che la inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, è questione “… riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione”.

Ed allora, non vorremmo banalizzare, tuttavia non possiamo fare a meno di domandarci: come è verosimile che una affermazione così rilevante quale quella contenuta in una circolare applicativa della nuova disciplina del processo tributario venga disattesa de plano senza che al contribuente, affidatario di tale affermazione, possa essere accordata alcuna tutela? E soprattutto, se è il Giudice l’unico soggetto che deve accertare lo stato di incertezza, per quale motivo non potrebbe esso stesso dedurre l’obiettiva incertezza (il contribuente prospetta una interpretazione, il Giudice la vaglia e dice: è sbagliata ma ci potrebbe pure stare!). Non è forse vero che la Suprema Corte ha avocato ai Giudici il “buon” diritto di ritenere sussistenti eventuali profili di abusività nella condotta tenuta dal contribuente, addirittura in sede di legittimità e senza che sussista (rectius: sussistesse…) una norma che codificasse l’abuso del diritto?