Delocalizzazione: necessaria per la sopravvivenza delle imprese?
di Ennio VialVita Pozzidelocalizzazione produttiva nei paesi esteri ha rappresentato, da sempre, la
possibilità per gli imprenditori di
risparmiare sul costo del lavoro e attenuare altresì la
pressione fiscale italiana. Abbiamo già avuto modo di svolgere diverse considerazioni in merito ai
profili di criticità che interessano le imprese che si orientano ai mercati esteri aprendo
filiali in altri
paesi.
transfer price, della
disciplina cfc white list e black list, della
stabile organizzazione occulta e dell’
esterovestizione.
l’Amministrazione finanziaria ha mostrato un crescente interesse per i suddetti temi dando vita ad una serie di contenziosi che in parte hanno creato un po’ di incertezza e di paura tra gli operatori. Quali le
strategie da perseguire a
fine
2014?
crisi in cui l’Italia si sta girando e rigirando come un insonne che non trova pace, non potrà essere superata nel medio o breve termine dal
pacchetto di riforme che forse verrà approvato. Quali strategie per sopravvivere? Ancora una volta l
’internazionalizzazione. Tralasciando i
servizi alla persona che incontreranno una domanda del mercato interno sempre maggiore, è inutile limitarsi a cercare di
produrre per un mercato dove i
consumatori sono sempre più in
difficoltà: bisogna, piuttosto, orientarsi sui mercati dove abbiamo o avremo una maggiore competitività.
l’euro è stato interessato da una
politica di svalutazione rispetto al
dollaro.
sbocco interessante per i nostri prodotti per una serie di motivi. Innanzitutto, il
Made in Italy è universalmente riconosciuto come un indice di prodotti di alta gamma. Inoltre, gli Stati Uniti hanno cercato di
risollevarsi
stampando moneta in modo da stimolare i consumi. Infine, come già segnalato, il dollaro si sta svalutando rendendo più convenienti le
esportazioni verso quel paese.
riportare l’
euro alla parità col dollaro e che già alla fine dell’anno potrebbe raggiungere quota 1,2.
mercato americano, tuttavia, non accetta di acquistare da
società estere ma
solo da
realtà locali anche se a partecipazione estera. Di qui l’esigenza di
delocalizzare se non una parte della produzione, almeno l’attività
distributiva.
società americana ed affidarle una parte dell’attività distributiva per sviluppare le vendite in tale
paese; in tale ipotesi, si deve prestare attenzione alla disciplina del
transfer price e dell’
esterovestizione. La società deve essere amministrata effettivamente all’estero e la politica dei prezzi di trasferimento deve rispettare il
valore di mercato.
l’internazionalizzazione, ora più che mai, possa essere la carta per la
sopravvivenza delle imprese italiana. Molte cautele devono tuttavia essere adottate dagli operatori perché l’Amministrazione Finanziaria è molto attenta a temi come quello delle
residenze fittizie, mostrando un’attenzione particolare e, talora, un’
aggressività superiore a quella di altri Paesi. Non va taciuto come gli Uffici di altri Stati come gli USA siano molto più aggressivi del fisco italiano su temi come quello del
transfer price.
processo di delocalizzazione, pertanto, deve essere
consapevole e non selvaggio. Inoltre, una profonda cautela va posta per chi si orienta verso
paradisi fiscali come, ad esempio, Dubai, dimenticandosi completamente che esiste la
disciplina cfc black list di cui agli art. 167 e 168 del Tuir o peggio, credendo di trovare un nuovo
“paradiso” dove scaricare il “nero” che ormai altri Paesi non sono più disposti ad
accogliere.