Derivazione rafforzata e cambiamento nella destinazione d’uso del bene
di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365Il tema della derivazione rafforzata ha una sorta di sussulto di attualità a causa di alcune operazioni contabili, la cui rilevanza fiscale è sensibilmente influenzata dal principio codificato all’articolo 83, Tuir.
Partiamo dal tema delle cessioni di immobili che sono stati riclassificati da componenti dell’attivo immobilizzato a beni dell’attivo circolante. La nuova allocazione contabile si rende necessaria quando cambia la destinazione che l’impresa assegna al bene; quindi, da cespite destinato ad un utilizzo duraturo nel processo produttivo, ad asset destinato alla alienazione. Il cambiamento di destinazione d’uso verrà confermato da azioni concrete dell’impresa atte a favorire la vendita, tra cui, ad esempio, la sottoscrizione di mandati a vendere con agenzia immobiliari.
Il trasferimento del bene comporta l’allocazione del bene nell’attivo circolante, così come afferma il principio contabile OIC 16, par. 79 (non toccato dai recenti emendamenti approvati nel mese di marzo 2024), con un valore di iscrizione pari al minore tra il residuo contabile (acquisto meno fondo ammortamento) ed il presumibile valore di realizzo. A partire da tale momento, è sospeso il processo di ammortamento. Questa procedura è spesso utilizzata quale rimedio alle penalizzazioni derivanti dalla normativa delle società non operative per gli immobili che, ormai, non sono più utilizzati strumentalmente ed attendono solo di essere ceduti. Infatti, lo spostamento contabile provoca un sensibile alleggerimento della massa degli immobili strumentali che entrano nel test di operatività e, allo stesso tempo, viene incrementato il valore della produzione a seguito di un incremento delle rimanenze che permette di fronteggiare con un dato incrementato il ricavo statistico che emerge dal test di operatività.
Il tema delicato che si pone ora è capire quale è la conseguenza contabile e fiscale della eventuale cessione dell’immobile trasferito nell’attivo circolante. È diffusa, in dottrina, la posizione secondo cui la cessione dell’immobile merce (ex cespite) determina, comunque, una plusvalenza e ciò deriverebbe dalla lettura del successivo par. 81 del principio contabile OIC 16 dedicato all’ alienazione. Per la verità, che il citato paragrafo assuma con chiarezza tale posizione non è scontato, posto che l’incipit delle stesso è il seguente : “ Quando un’immobilizzazione materiale è venduta occorre eliminare contabilmente, in contropartita al corrispettivo ricevuto, la voce delle immobilizzazioni materiali……” e poco oltre si conclude : “ L’eventuale differenza tra il valore netto contabile e il corrispettivo della cessione e cioè la plusvalenza o la minusvalenza realizzata, va rilevata a conto economico….” . Non sfuggirà che l’incipit del paragrafo 81 cita le immobilizzazioni materiali (e non i beni iscritti nell’attivo circolante a seguito di mutamento di destinazione d’uso), quali beni che ceduti generano plusvalenze e non ricavi. Peraltro, il tema è stato già affrontato sulle colonne di questo quotidiano, in cui sono state esplicitate le due diverse tesi, ossia vendita/ricavo ovvero vendita/plusvalenza, assegnando, però, una preferenza al primo inquadramento, cioè vendita che genera ricavo .
Ma anche volendo dare per assodato che la corretta rilevazione contabile dell’immobile merce (ex cespite) ceduto sia una plusvalenza/minusvalenza, si pone poi il tema delle ricadute fiscali di tale assunzione. La prima (e ovvia conseguenza) è chiedersi se la plusvalenza in questione sia inseribile nell’imponibile fiscale beneficiando della rateizzazione disposta dall’articolo 86, Tuir (plusvalenza diluibile in un massimo di 5 quote annuali costanti a condizione che il bene sia detenuto da almeno tre anni), ovvero se una volta classificato l’immobile tra quelli “merce”, il provento della vendita non possa che essere iscritto tra i ricavi. Ed è proprio in merito a questo punto che diventa rilevante il tema della derivazione rafforzata. Infatti, uno dei criteri che sono propri della cosiddetta “supremazia del conto economico sull’imponibile fiscale” è proprio la classificazione della operazione, classificazione operata in armonia con i corretti principi contabili. Pertanto, se la corretta classificazione del provento derivante dalla cessione dell’immobile merce (ex cespite) è comunque una plusvalenza, ne deriva che, anche dal punto di vista fiscale, dobbiamo parlare di plusvalenza e non di ricavo, il che legittima il trattamento proprio della plusvalenza ex articolo 86, Tuir, cioè il beneficio della rateizzazione delle plusvalenze in un massimo di 5 quote annuali. In tal caso, ai fini del periodo di detenzione minima del bene ceduto, al fine di rateizzare la plusvalenza (detenzione che, a norma dell’articolo 86, comma 4, Tuir, deve essere almeno pari a 3 anni), pare evidente che debba essere ricompreso anche il periodo precedente la riclassificazione contabile, dato il bene era comunque detenuto (e peraltro detenuto come cespite), il che legittimerebbe, a maggior ragione, la rateizzazione del provento conseguito.
Detto tutto ciò non va sottovalutato che l’impostazione di cui sopra, sotto il profilo della normativa di cui all’articolo 30, L. 724/1994 (società non operative), presenta rilevanti vantaggi, ma anche qualche contraddizione: l’immobile classificato a rimanenza esce dal test di operatività, ma quando esso è ceduto genera plusvalenze esattamente come un cespite fruendo della rateizzazione. Vengono, di fatto, massimizzati i vantaggi fiscali che di regola sono alternativi, nel senso che se l’immobile è:
- un cespite, questo va inserito nel test di operatività e la cessione determina plusvalenze rateizzabili;
- un bene merce, questo non viene inserito nel test di operatività, ma la cessione determina un ricavo.
Vi sarebbe poi da considerare la posizione delle società che non applicano la derivazione rafforzata, per le quali potrebbe essere messa in dubbio la classificazione civilistica di plusvalenza per il provento conseguito dalla cessione. Sul punto, non sarebbe di grande aiuto il concetto di derivazione semplice, il quale si limita a chiarire che condizione necessaria, affinché un componente rilevi nella determinazione dell’imponibile è che esso sia iscritto a conto economico; infatti, nel caso di specie, non è in dubbio l’iscrizione a conto economico, mentre il problema è valutare quale iscrizione (rectius classificazione) debba prevalere.
Insomma, ci sono molti elementi di incertezza, sui quali sarebbe auspicabile un intervento chiarificatore della Agenzia delle Entrate.