Deroghe alla decadenza dalla “piccola proprietà contadina”
di Luigi ScappiniLa Suprema Corte, con le ordinanze gemelle n. 2158/2020, n. 2157/2020 e n. 2156/2020 ha statuito che “Ai sensi della L. 604/1954, articolo 7, comma 1, la decadenza dalla agevolazioni fiscali relative all’acquisto della piccola proprietà contadina, nell’ipotesi di cessazione della coltivazione diretta del fondo da parte dell’acquirente, prima del decorso di 5 anni dall’acquisto, non opera qualora la mancata attivazione derivi da fatti obiettivi sopravvenuti non riconducibili all’acquirente sotto un profilo soggettivo quale la morte del coltivatore diretto ovvero in ipotesi di oggettiva impossibilità della coltivazione per causa “non riconducibile”, sotto il profilo soggettivo, all’acquirente. È dato evincere a contrariis il corollario giuridico che, ai fini della decadenza, assume rilevanza, ogni causa di mancata coltivazione comunque ascrivibile alla potestà del contribuente sicché si ha la decadenza dalle agevolazioni anche nella ipotesi della esecuzione (in luogo della coltivazione) di opere prodromiche e funzionali all’esercizio dell’agricoltura, ovvero nel caso di affitto del fondo di “durata limitata” (infra annuale e solo per i mesi occorrenti) finalizzata alla coltivazione intercalare, ossia, di breve ciclo all’interno della realizzazione di un prodotto dello stesso genere di più lungo ciclo, ovvero perfino “anche nell’ipotesi in cui il trasferimento della proprietà sia stato compiuto da uno dei comproprietari a favore degli altri, membri della medesima famiglia coltivatrice, per sopravvenuta inabilità al lavoro dell’alienante (cfr. sentenze n. 3199/2018, n. 6688/2014, n. 18849/2007, n. 13219/2001 e n. 503/1992)”.
Come noto, con l’articolo 2, comma 4-bis, D.L. 194/2009, convertito con modifiche in L. 25/2010, ha reso a sistema una norma che, sin dal lontano 1954, viveva di rinnovi.
A dire il vero, come precisato dall’Agenzia delle entrate con la circolare 36/E/2010, la L. 25/2010 non rappresenta la consecutio della precedente L. 604/1954, avendo natura innovativa in quanto le caratteristiche sono differenti. Tuttavia, da sempre si è accettato che, ove possibile, i chiarimenti di prassi offerti in vigenza dell’originaria L. 604/1954 siano applicabili anche all’attuale agevolazione a sistema.
L’affermazione dell’Agenzia delle entrate è ineccepibile, tant’è vero che, ad esempio, l’acquisto di un fondo rustico fruendo dell’agevolazione come disegnata dalla L. 25/2010, e la successiva rivendita nel quinquennio di monitoraggio a un figlio, fattispecie richiamata dalla Suprema Corte nelle ordinanze in commento, non comportano decadenza dall’agevolazione.
In tal senso depone il richiamo dell’articolo 2, comma 4-bis, L. 25/2010 a quanto previsto dal comma 3 dell’articolo 11, D.Lgs. 228/2001, ai sensi del quale “Non incorre nella decadenza dei benefici l’acquirente che, durante il periodo vincolativo di cui ai commi 1 e 2, ferma restando la destinazione agricola, alieni il fondo o conceda il godimento dello stesso a favore del coniuge, di parenti entro il terzo grado o di affini entro il secondo grado, che esercitano l’attività di imprenditore agricolo di cui all’articolo 2135 del codice civile, come sostituito dall’articolo 1 del presente decreto.”.
Del tema si è occupata anche l’Agenzia delle entrate con la risoluzione 455/2008 con cui era stata negata la decadenza dall’agevolazione nell’ipotesi di conferimento del fondo durante il periodo di monitoraggio in una società di persone (nel caso di specie Sas) composta, oltre che dal coltivatore conferente, dalla moglie e da un figlio.
Parimenti, con la precedente risoluzione 279/E/2008 è stata sdoganata la concessione, sempre durante il quinquennio di monitoraggio, di un fondo, a una società di persone costituita dal coltivatore, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e/o affini entro il secondo.
Attenzione, però, che tali prassi non devono essere fuorvianti in quanto, di primo impatto, sembrerebbe che il mantenimento dell’agevolazione dipenda dalla circostanza che la compagine societaria sia formata dai soggetti richiamati dall’articolo 11, comma 3, D.Lgs. 228/2001.
Nella realtà, in quel caso, la norma che si aziona è l’articolo 9, sempre del D.Lgs. 228/2001, ai sensi del quale “Ai soci delle società di persone esercenti attività agricole, in possesso della qualifica di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale, continuano ad essere riconosciuti e si applicano i diritti e le agevolazioni tributarie e creditizie stabiliti dalla normativa vigente a favore delle persone fisiche in possesso delle predette qualifiche. I predetti soggetti mantengono la qualifica previdenziale e, ai fini del raggiungimento, da parte del socio, del fabbisogno lavorativo prescritto, si computa anche l’apporto delle unità attive iscritte nel rispettivo nucleo familiare.”.
In senso conforme l’ordinanza n. 1565/2016 della Corte di Cassazione in cui si afferma a chiare lettere che “il legislatore del 2001 … ha ritenuto del tutto indifferente ai fini del godimento delle agevolazioni in parola (una volta che sussistano le due condizioni della qualifica soggettiva e della diretta coltivazione del fondo) che la coltivazione avvenga nella diretta detenzione da parte della persona fisica o nella detenzione mediata attraverso la qualità di socio di società di persone, qualunque sia la compagine che la compone.”.