Determinazione in Dogana del valore delle merci sulla base di banche dati interne
di Gabriele DamascelliIn sede di determinazione del valore in dogana ai sensi della normativa unionale, l’autorità doganale di uno Stato membro può limitarsi ad utilizzare gli elementi contenuti nella banca dati nazionale che questa alimenta e gestisce, senza essere tenuta, se elementi sono sufficienti a tal fine, ad accedere alle informazioni in possesso delle autorità doganali di altri Stati membri o dei servizi dell’Ue, potendo altresì escludere i valori di transazione relativi ad altre operazioni del richiedente lo sdoganamento effettuate in altri Stati Ue, purché ciò sia motivato al fine di incidere sulla plausibilità dei valori di transazione in questione, ed utilizzare i dati sui detti valori relativi ad un “periodo” di 90 giorni, di cui 45 giorni precedenti e 45 successivi allo sdoganamento delle merci da valutare, apparendo tale periodo sufficientemente prossimo alla data di esportazione.
Queste, in sintesi, le conclusioni della Corte di Giustizia rese nella causa C-187/21 del 9 giugno 2022, in relazione ad operazioni di importazione nell’Ue di prodotti tessili originari della Cina, i cui valori dichiarati sono stati ritenuti dall’autorità doganale ungherese “anormalmente bassi”.
Al riguardo, stando alla narrativa della sentenza, essendo la Dogana impossibilitata a stabilire il valore in dogana di tali prodotti sulla base di quello di transazione piuttosto che sulla base dei metodi alternativi previsti dall’allora Codice Doganale Comunitario agli articoli 29 e ss. (e trasposti nell’attuale CDU), questa ha rideterminato detto valore utilizzando elementi risultanti da una banca dati nazionale, relativi ad un periodo di 90 giorni, di cui 45 giorni precedenti e 45 successivi allo sdoganamento.
La ricorrente importatrice contestava sostanzialmente alla Dogana sia di non aver previamente consultato le banche dati di vari servizi dell’UE, quali la direzione generale (DG) «Fiscalità e Unione doganale» (TAXUD) della Commissione Ue, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ed Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione europea, sia di aver escluso i valori di transazione relativi ad altre importazioni dalla medesima realizzate tanto in Ungheria quanto in altri Stati Ue senza che le rispettive autorità competenti li avessero contestati.
Ai fini della determinazione del valore in dogana la regola principale è rappresentata dal prezzo pattuito tra le parti, ovvero dal “valore di transazione” di cui all’articolo 70 CDU (Codice Doganale dell’Unione – Regolamento 952/2013) rappresentato dal “prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando sono vendute per l’esportazione verso il territorio doganale dell’Unione, eventualmente adeguato”, nel caso integrato con gli elementi obbligatori di cui all’articolo 71 par. 1 del CDU, nella misura in cui sono a carico del compratore e non sono inclusi nel prezzo pagato o da pagare (es. commissioni e spese di mediazione, diritti di licenza/royalties, spese di trasporto, etc.).
Accanto a tale metodo principale, che secondo la Corte di Giustizia “deve riflettere il valore economico reale di una merce importata e tener conto di tutti gli elementi di tale merce che presentano un valore economico” (v. ad es. C-256/07, C-306/04, C-15/99 e C-11/89), qualora questo non sia utilizzabile perché l’Ufficio, ad esempio, ritenga che il prezzo sostenuto dall’acquirente/importatore non sia quello effettivamente pagato in quanto più basso rispetto ai valori comunemente rilevati per operazioni commerciali simili, sono previsti (articolo 74 del CDU) alcuni metodi, alternativi o sostitutivi al criterio principale, per la valutazione del valore delle merci, da utilizzarsi in capo alla Dogana in rigoroso ordine gerarchico.
I primi due metodi secondari sono basati sulla ricerca di un valore di transazione inerente a merci rispettivamente identiche o similari, rispetto a quelle oggetto di valutazione in dogana, e sono posti tra loro in ordine rigorosamente gerarchico, nel senso che solo ove non è possibile individuare un valore per merce identica allora è consentito utilizzare il criterio di ricerca del valore per merci similari.
La Corte UE qui ricorda che le norme di diritto unionale relative alla valutazione doganale mirano a stabilire “un sistema equo, uniforme e neutro che escluda l’impiego di valori in dogana arbitrari o fittizi, dovendo il valore in dogana riflettere il valore economico reale di una merce importata”, dovendo considerare tutti gli elementi di tale merce che presentano un valore economico (v. C‑76/19, p. 34, C‑1/18, p. 22 e C-529/16, p. 24), essendo al riguardo richiesto alle autorità doganali di “esercitare la dovuta diligenza nell’attuazione di ognuno dei metodi successivi stabiliti da tale disposizione prima di poter concludere nel senso della sua inapplicabilità”.
A tal fine la Corte UE qui riferisce (v. anche sul medesimo argomento le similari conclusioni della coeva C-599/20 del 09.06.2022 relative alla determinazione del valore in dogana sulla base di merci che hanno la stessa origine e che, pur non essendo «similari», rientrano nel medesimo codice TARIC) circa la possibilità dei funzionari doganali, nel rispetto dell’ordine gerarchico su riferito, di utilizzare tutte le fonti di informazioni e le banche dati di cui dispongono per definire il valore in dogana nel modo più preciso e realistico possibile.
Qualora la banca dati interna al proprio Stato fornisca alla Dogana gli elementi necessari (“sufficienti”) per individuare il corretto valore di merci identiche o similari, questa non è tenuta, sottolinea la Corte Ue, “a cercare sistematicamente, d’ufficio o su semplice richiesta, di accedere a fonti d’informazione o a banche dati che non sono ad essa necessarie”, dal momento che gli Stati membri sono obbligati a registrare, anche ai fini statistici, ogni importazione di merci nell’UE utilizzando la dichiarazione doganale come fonte dei dati per la registrazione.
In questo caso, se la Dogana è in grado di determinare il valore delle merci mediante gli elementi a sua “immediata disposizione”, le informazioni contenute nelle ulteriori banche dati gestite da altre autorità doganali o dai servizi dell’Ue risultano, dice la Corte UE, “non particolarmente utili”, al contrario producendo un appesantimento inutile delle procedure di controllo, compromettendo l’obiettivo enunciato all’articolo 325 TFUE e all’ottavo considerando del Codice Doganale Comunitario (Regolamento 2913/1992) il quale richiede che i controlli doganali siano conclusi in modo tempestivo per consentire la riscossione effettiva ed integrale dei dazi doganali.
Ciò che è richiesto obbligatoriamente in capo alla Dogana è, di contro, conclude la Corte UE, che vengano espressi in modo chiaro e non equivoco i motivi che hanno portato dette autorità a disattendere uno o più metodi di determinazione del valore in dogana, e che vengano altresì riportati chiaramente, nella decisione di fissazione dell’importo dei dazi all’importazione dovuti, i dati sulla base dei quali è stato calcolato il valore in dogana delle merci, al fine di consentire al destinatario della decisione di difendere i propri diritti nelle migliori condizioni possibili e di valutare, con piena cognizione di causa, se sia utile proporre ricorso contro di essa, affinché i giudici possano esercitare un sindacato sulla legittimità di detta decisione (v. C‑46/16, p. 45).