Detraibili i crediti per imposte pagate all’estero anche in caso di dichiarazione omessa
di Francesca BeniniLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24160/2024, ha affermato il principio secondo il quale i crediti per le imposte pagate all’estero devono essere riconosciuti anche in assenza della presentazione di una valida dichiarazione dei redditi nel nostro Stato.
Secondo i giudici di legittimità, infatti, il contribuente ha la possibilità di beneficiare del diritto di detrazione dei citati crediti, indipendentemente dall’adempimento di qualsiasi obbligo formale.
Come noto, una tematica molto dibattuta in materia di crediti per imposte pagate all’estero è quella attinente alla possibilità di beneficiare della detrazione, di cui all’articolo 165, Tuir, nei casi di omessa indicazione da parte del contribuente del corrispondente reddito in dichiarazione.
Il dibattito nasce dal fatto che sussiste una discrepanza tra la normativa italiana e quella prevista dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni: la prima, infatti, subordina il riconoscimento del credito all’adempimento di un obbligo dichiarativo, mentre la seconda ammette il diritto di detrazione delle imposte pagate all’estero senza particolari restrizioni.
Volendo entrare nel dettaglio, si evidenzia che l’ordinamento italiano, ai sensi dell’articolo 165, comma 8, Tuir, prevede che “la detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata”.
In base a tale disposizione, l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 9/E/2015, ha affermato che il contribuente non può beneficiare del credito per le imposte pagate all’estero nel caso in cui:
- la dichiarazione relativa all’annualità oggetto di controllo sia omessa;
- il reddito estero non sia stato dichiarato nel Modello REDDITI.
L’articolo 165, comma 8, Tuir, tuttavia, come detto, si pone in aperto contrasto con le disposizioni previste dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni.
L’articolo 23B del Modello OCSE dispone, infatti, che, se un soggetto residente consegue un reddito imponibile in un Paese estero, l’imposta dovuta su tale reddito nel Paese estero è scomputabile come credito nel Paese di residenza. Il citato articolo, inoltre, prevede che detta deduzione non deve superare quella parte dell’imposta sul reddito come calcolata prima della detrazione, che è imputabile al reddito o al capitale imponibili in detto Stato.
Secondo l’articolo 23B del Modello OCSE, pertanto, il riconoscimento del credito per le imposte pagate all’estero, diversamente da quanto previsto dall’articolo 165, comma 8, Tuir, non deve essere assoggettato ad alcun adempimento di tipo formale da parte del contribuente.
Gli unici requisiti per poter beneficiare del suddetto credito sono:
- la definitività delle imposte estere; e
- il limite quantitativo (la deduzione non può eccedere la quota di imposta italiana proporzionalmente attribuibile ai predetti elementi di reddito).
In altre parole, ai sensi delle disposizioni convenzionali, il contribuente può usufruire nel proprio Stato di residenza del credito per imposte pagate all’estero, indipendentemente dal fatto che abbia o meno presentato la propria dichiarazione dei redditi.
Nonostante la chiarezza delle disposizioni previste dal Modello OCSE, alcuni uffici territoriali dell’Agenzia delle Entrate, basandosi su un’interpretazione restrittiva dell’articolo 165, comma 8, Tuir, subordinano il diritto di detrazione delle imposte pagate all’estero all’adempimento degli obblighi dichiarativi da parte del contribuente.
Tale modo di procedere ha alimentato un copioso contenzioso che ha portato a registrare numerose pronunce, anche contrastanti tra loro.
Tra queste, si segnala, la recentissima sentenza della Corte di cassazione oggetto di commento che, come detto, ha statuito il principio secondo il quale “in presenza di un obbligo internazionale incondizionato dello Stato italiano di evitare la doppia imposizione al contribuente residente il cui reddito sia assoggettato ad imposizione sia nello Stato in cui sia prodotto e percepito, sia in Italia, l’art. 165, comma 8, Tuir non può applicarsi”.
Ebbene, a parere di chi scrive, tale sentenza deve essere accolta con favore dal momento che, oltre ad ammettere la presenza nel nostro ordinamento di un immanente principio di divieto di doppia imposizione, riconosce il principio di prevalenza delle norme convenzionali rispetto a quelle nazionali.
In caso di contrasto tra normativa nazionale e convenzionale, deve sempre prevalere quest’ultima: è pacificamente riconosciuto, infatti, che, ai sensi dell’articolo 117, Cost., le norme convenzionali sono gerarchicamente sovraordinate rispetto alle disposizioni domestiche.
A ciò si aggiunga che un’interpretazione che nega il diritto al credito per le imposte pagate all’estero, in assenza di presentazione della dichiarazione dei redditi, viola quanto previsto dall’articolo 169, Tuir.
Tale norma impone, infatti, in caso di contrasto tra normativa domestica e quella internazionale, di applicare la normativa più favorevole al contribuente.
È evidente che, nel caso di specie, la disciplina più favorevole non possa che essere rappresentata da quella convenzionale, ossia da quella che riconosce il credito per le imposte pagate all’estero indipendentemente dall’adempimento degli obblighi dichiarativi.