25 Ottobre 2019

Detraibilità dell’Iva assolta sui servizi esteri infragruppo

di Fabio Landuzzi
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La scheda di FISCOPRATICO

La Norma di Comportamento Aidc n. 205 è intervenuta su di un tema molto sentito dalle imprese residenti in Italia e appartenenti a gruppi multinazionali nell’ambito de quali è assai frequente l’esistenza di c.d. “group service agreement” o “cost sharing agreement” che sottendono la prestazione di servizi dalla capogruppo – o da altra impresa estera correlata – alle varie imprese consociate.

Il punto di attenzione da cui parte l’analisi tecnica sviluppata dalla Norma di comportamento è che, non di rado, si osserva che quando l’Amministrazione contesta ai fini delle imposte sul reddito la non deducibilità dei costi oggetto, quasi sempre non invocando la disciplina dei “prezzi di trasferimento” – aspetto su cui vi sarebbe da soffermarsi – bensì la presunta carenza di prova del requisito di “inerenza” delle spese, essa estende la contestazione anche agli effetti Iva, invocando l’articolo 19, comma 1, D.P.R. 633/1972, e quindi eccependo la non detraibilità dell’imposta che la società residente ha in verità assolto, e detratto, sulle fatture ricevute dal prestatore estero mediante la tecnica dell’inversione contabile ex articolo 17 D.P.R. 633/1972).

La Massima della Norma di comportamento, corredata da un’articolata motivazione, è in questo senso molto chiara: l’Iva assolta dal soggetto passivo residente mediante l’inversione contabile applicata alle fatture relative a spese per servizi infragruppo resi da soggetti esteri deve essere riconosciuta come detraibile anche qualora siano contestati l’incongruenza della spesa o il comportamento antieconomico dell’impresa residente.

Ai fini della detraibilità dell’Iva, l’impresa residente è tenuta solamente a dimostrare l’esistenza e la natura dei servizi acquistati, a fornire i relativi riscontri “giustificativi” e a provare che le relative spese presentano un nesso con le operazioni economiche compiute che danno diritto alla detrazione.

Il punto di partenza della disamina condotta nella Norma di comportamento è la definizione del requisito della “inerenza” della spesa, proprio a partire dal comparto delle imposte sul reddito, alla luce della recente evoluzione giurisprudenziale.

Il secondo passaggio, poi, è la diretta declinazione di tali principi nel comparto Iva, laddove l’inerenza del costo non può essere negata semplicemente in base ad un giudizio di congruità della spesa stessa, tranne nel caso in cui l’Amministrazione dimostri una “macroscopica antieconomicità”.

E la dimensione “macroscopica”, tale da rendere la spesa non inerente ai fini Iva rispetto all’attività dell’impresa, viene associata alla sua “irragionevolezza”, tale da collocarla in un contesto in cui proprio la sua stessa dimensione rende plausibile l’esistenza di un fumus frodatorio nel comportamento del soggetto passivo.

In tema di Iva, quindi, l’onere probatorio dell’Amministrazione non può limitarsi, per negare il diritto alla detrazione dell’imposta assolta, quando si è al di fuori della situazione patologica anzidetta, alla sola valutazione di incongruenza del costo oppure di sproporzione del valore del servizio prestato.

Non ultima, poi, l’osservazione evidenziata nelle motivazioni della Norma di comportamento proprio con riferimento alla particolare modalità di assolvimento dell’Iva in questo tipo di operazioni.

Il riferimento va all’articolo 6, comma 9-bis3, D.Lgs. 471/1997, ai sensi della quale, in caso di imposta assolta mediante l’inversione contabile, anche in presenza di “operazioni inesistenti”, e fatta salva l’applicazione della sanzione, “in sede di accertamento devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto, nelle liquidazioni dell’imposta, che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette (…)”. Ebbene, non può non passare inosservato il fatto che parrebbe poco razionale un sistema che, da una parte, consentisse, in caso di Iva assolta in reverse charge, di azzerare l’effetto Iva dell’operazione quando questa venisse eccepita come “inesistente”, ed invece negasse la stessa soluzione di “neutralità” Iva, quando la contestazione fosse riferita solo ad una presunta, e spesso parziale, non inerenza della spesa.

In conclusione, quindi, la Norma di comportamento afferma che, a prescindere da quali possano essere gli esiti della contestazione ai fini delle imposte sul reddito, va riconosciuta, al di fuori di situazioni patologiche, la detrazione dell’Iva assolta in reverse charge sulle fatture ricevute da imprese residenti a fronte dei servizi infragruppo resi da imprese estere.

 

Iva nazionale ed estera