1 Luglio 2019

Detrazione dell’Iva non dovuta con effetto retroattivo

di Marco Peirolo
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Con l’articolo 6, comma 3-bis, D.L. 34/2019 (Decreto crescita), introdotto in sede di conversione, viene espressamente riconosciuta la natura interpretativa delle disposizioni contenute nell’articolo 1, comma 935, L. 205/2017 (Legge di Bilancio 2018).

Integrando l’articolo 6, comma 6, D.Lgs. 471/1997, la Legge di Bilancio 2018 ha previsto che, “in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto dei Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il cessionario o il committente anzidetto è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. La restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale”.

In base a tali previsioni, la violazione commessa dal cedente/prestatore non dà più luogo al recupero a tassazione dell’Iva detratta dal cessionario/committente e, nei confronti di quest’ultimo, non è più applicabile né la sanzione per l’indebita detrazione (pari al 90% dell’imposta, ex articolo 6, comma 6, DLgs. 471/1997), né quella per l’infedele dichiarazione (dal 90% al 180% della maggiore imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato, ex articolo 5, comma 4, D.Lgs. 471/1997).

Un primo tema che si era posto in merito al passaggio alla nuova norma è quello degli effetti del principio del “favor reisul regime sanzionatorio.

L’articolo 3, comma 3, D.Lgs. 472/1997 dispone che, “se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo”.

Nella sentenza n. 24001 del 03.10.2018, la Corte di Cassazione ha affermato che “la norma (…) è stata inserita dalla legge n. 205/2017 nell’ambito della disciplina generale in materia di sanzioni amministrative di cui al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, prevedendo la misura della sanzione amministrativa da irrogare nei confronti del committente o cessionario che applichi l’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o dal prestatore.

Per la stessa, quindi, con riferimento alla determinazione della misura delle sanzioni, trovano sicura applicazione le previsioni del favor rei di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 472/1997”.

La Suprema Corte non ha, invece, esteso gli effetti del principio del “favor rei” alla detrazione dell’imposta non dovuta, affermando che la nuova norna “non enuncia espressamente alcuna valenza retroattiva della sua efficacia e introduce, invece, innovativamente, il riconoscimento del diritto alla detrazione dell’Iva corrisposta in misura maggiore rispetto a quanto dovuto, disciplinando quindi diversamente il regime precedente.

Né può dirsi che abbia valenza interpretativa, non essendo ricavabile dalla previsione in esame alcun riferimento al precedente regime in relazione al quale si intende procedere ad una chiarificazione in termini normativi della portata applicativa del regime della detrazione dell’Iva nella materia in esame”.

Tale orientamento è stato ribadito dalla sentenza n. 14179 del 24.05.2019, che ha richiamato espressamente le conclusioni raggiunte dai giudici di legittimità nella precedente pronuncia, cosicché deve intendersi confermato il principio di diritto contenuto nella sentenza n. 24001/2018, secondo cui “la previsione di cui all’articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, introdotta dall’articolo 1, comma 935, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, nella parte in cui prevede che, in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, resta fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione, ai sensi degli articoli 19 e seguenti del DPR n. 633/1972, non ha efficacia retroattiva né può ad essa riconoscersi valore di norma interpretativa”.

Con l’intervento normativo operato in sede di conversione del D.L. 34/2019, l’orientamento giurisprudenziale di cui sopra viene superato, riconoscendo l’applicazione retroattiva delle disposizioni introdotte dalla Legge di Bilancio 2018 non solo per ciò che riguarda le sanzioni, ma anche per la detrazione.

Del resto, la nuova previsione intende adeguare il sistema nazionale al diritto dell’Unione, sulla scia delle modifiche che hanno portato il legislatore italiano ad introdurre l’articolo 30-ter D.P.R. 633/1972, garantendo il principio di effettività del diritto di detrazione e, quindi, la neutralità dell’imposta, che è un obiettivo fondamentale della disciplina dell’Iva, tutelato dalla Direttiva n. 2006/112/CE (circolare Assonime n. 12 del 31 maggio 2018).

Resta, sullo sfondo, da chiarire quale sia l’ambito oggettivo di applicazione del novellato articolo 6, comma 6, D.Lgs. 471/1997; in particolare, se il medesimo debba intendersi riferito ai soli casi di applicazione di un’aliquota superiore a quella corretta, come sembrerebbe desumersi dal tenore letterale della norma, oppure anche alle ipotesi in cui l’operazione sia stata erroneamente considerata imponibile, anziché esente, non imponibile o non soggetta.

In tal senso, oltre alla circolare della Guardia di Finanza n. 114153 del 13.04.2018, si è espressa Assonime nella richiamata circolare n. 12/2018.

L’interpretazione più restrittiva non viene ritenuta rispondente alla ratio e alla logica della norma, in quanto – ove confermata dall’Agenzia delle Entrate – “sarebbe difficile trovare una giustificazione sistematica al principio secondo cui sia detraibile l’imposta applicata in misura superiore a quella dovuta, e non anche quella non dovuta per altri motivi, ad esempio perché, l’operazione in questione è esente o non imponibile, o addirittura esclusa (…). Anche in tali situazioni, infatti, risulta applicata un’imposta superiore a quella effettivamente dovuta secondo la disciplina del tributo (…)”.

A ben vedere, ci sarebbe spazio per ritenere che l’operatività delle nuove disposizioni resti limitata alle ipotesi in cui l’errore commesso dal fornitore riguardi un’operazione rientrante nel campo di applicazione dell’imposta, indebitamente considerata come imponibile quando, invece, era esente o non imponibile o, anche, soggetta ad una aliquota inferiore a quella applicata.

In effetti, è sufficiente passare in rassegna le numerose casistiche affrontate dalla Corte di giustizia per rendersi conto come sia del tutto fuorviante applicare in maniera generalizzata il principio di indetraibilità discendente dalla previsione dell’articolo 203 Direttiva 2006/112/CE e del corrispondente articolo 21, comma 7, D.P.R. 633/1972 (causa C-111/14, GST – Sarviz Germania; causa C-424/12, Fatorie; causa C-138/12, Rusedespred; causa C-643/11, LVK-56).

Iva nazionale ed estera