30 Luglio 2018

Detrazione Iva in assenza di operazioni attive

di Marco Peirolo
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Con la sentenza n. 11533 dell’11.05.2018, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate in esito all’ordinanza interlocutoria n. 22089 del 22.09.2017, considerando detraibile l’Iva assolta sui lavori di ristrutturazione e di manutenzione relativi ad immobili di proprietà di terzi se sussiste un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale. Il diritto di detrazione, in particolare, non viene meno se l’attività è potenziale e, per cause estranee al contribuente, non è stata avviata.

Tale pronuncia assume interesse perché mette in luce i differenti orientamenti giurisprudenziali in tema di detrazione dell’Iva assolta sulle spese di ristrutturazione di fabbricati di proprietà altrui.

La particolarità del caso affrontato dai giudici di legittimità, che ha giustificato l’intervento delle Sezioni Unite, è data dal fatto che le spese in questione sono state sostenute ai fini dell’esercizio di un’attività d’impresa che non si è concretizzata, siccome la società conduttrice dell’immobile, nel frattempo divenuta proprietaria a seguito dell’incorporazione della società concedente, ha venduto l’immobile al termine dei lavori.

Nel caso di specie, una società avente per oggetto l’esercizio di attività turistico-ricettiva, ha sottoscritto con la propria società controllante un contratto di locazione di un complesso immobiliare già adibito ad attività turistica, di proprietà della stessa controllante.

La società conduttrice ha provveduto ad effettuare alcuni interventi di ristrutturazione, restauro, risanamento e cambio di destinazione del complesso immobiliare oggetto di locazione.

Tali interventi edilizi si sono protratti per circa cinque anni (dal 2002 al 2007) e, prima del termine dei lavori, la società locatrice e quella conduttrice hanno deliberato e, successivamente, perfezionato la fusione per incorporazione della prima nella seconda.

Nel 2008, la società ha venduto il complesso immobiliare oggetto di ristrutturazione, applicando l’Iva sul prezzo di vendita, portando in detrazione l’Iva assolta sui costi di ristrutturazione, ottenendone il rimborso in assenza di operazioni attive imponibili negli anni in cui ha sostenuti i predetti costi.

L’Amministrazione finanziaria ha negato la detraibilità dell’Iva e i relativi avvisi di accertamento sono stati impugnati dalla società innanzi alla Commissione tributaria provinciale.

Gli avvisi si fondavano sulle seguenti ragioni:

  • le opere di ristrutturazione sono state eseguite in vista dell’esercizio di un’attività economica mai avviata. Secondo la tesi dell’Ufficio, i rapporti fra locatore e conduttore, in particolare la clausola della locazione che prevedeva la gratuita e automatica acquisizione delle opere da parte del locatore, rendevano palese che la società conduttrice era stata costituita solo per creare un centro di imputazione di costi;
  • le opere di ristrutturazione sono state eseguite su immobili con classificazione catastale “A/2” e, quindi, destinati a civile abitazione, rispetto ai quali opera l’indetraibilità oggettiva dell’Iva, ex articolo 19-bis1, comma 1, lett. i), D.P.R. n. 633/1972;
  • le opere sono state eseguite su immobili di proprietà altrui, essendo pertanto il proprietario il soggetto legittimato al recupero dell’imposta.

Nel successivo contenzioso, entrambi i giudizi di merito si sono conclusi a sfavore del contribuente. La decisione d’appello, oggetto di impugnazione da parte della società, risulta motivata da un duplice ordine di ragioni:

  • in primo luogo, la detrazione dell’imposta non spetta perché i costi di ristrutturazione sono stati sostenuti su un immobile a destinazione abitativa in base alla corrispondente categoria catastale;
  • in secondo luogo, la detrazione dell’imposta non spetta perché le spese riguardavano la ristrutturazione di un immobile di proprietà altrui.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sulla scia dell’orientamento espresso dalla Corte di giustizia a salvaguardia della neutralità dell’imposta, hanno risolto la questione in base al seguente principio di diritto: “Deve riconoscersi il diritto alla detrazione Iva per lavori di ristrutturazione o manutenzione anche in ipotesi di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale, anche se quest’ultima sia potenziale o di prospettiva. E ciò pur se – per cause estranee al contribuente – la predetta attività non abbia poi potuto concretamente esercitarsi”.

Risulta, in tal modo, tutelato “il principio europeo del diritto alla detrazione relativamente a beni che sono comunque strumentali all’attività d’impresa – dalla giurisprudenza unionale da negarsi soltanto in ipotesi del tutto eccezionali – subordinatamente alla riscontrata sussistenza della essenziale condizione del nesso di strumentalità dell’immobile che consenta di evitare a chi è nella sostanza un «consumatore finale» di potersi detrarre l’imposta. Un nesso di strumentalità il quale viene meno soltanto quando l’attività economica anche potenziale cui avrebbe dovuto accedere non sia stata intrapresa per circostanze non estranee al contribuente. E con l’ulteriore aggiunta che la questione all’esame nulla a che fare con fattispecie abusive – o elusive – risolvendosi invece unicamente nello stabilire con un tipico accertamento di fatto se il diritto spetta o non spetta per la rammentata ragione della esistenza o meno della natura strumentale dell’immobile rispetto all’attività economica in concreto svolta o che il contribuente avrebbe potuto svolgere”.

Così esposte le conclusioni raggiunte dalle Sezioni Unite, può osservarsi che, nella fattispecie esaminata, la questione della detraibilità è risultata “assorbita” da quella dell’assenza di operazioni attive “tipiche”, cioè riconducibili all’attività che il contribuente intendeva svolgere al momento del sostenimento delle spese. In pratica, nel corso delle decisioni che hanno preceduto la pronuncia in commento si è messo in dubbio che il diritto di detrazione possa considerarsi acquisito se il contribuente, per circostanze che non siano estranee alla sua volontà, non compie operazioni attive imponibili riconducibili all’attività propria, nella fattispecie rappresentante dalla vendita del complessivo immobiliare.

Secondo un costante orientamento giurisprudenziale, le società commerciali sono sempre soggetti passivi per le operazioni attive, ma non sempre soggetti passivi per le operazioni passive, essendo richiesto un “quid pluris” rispetto alla qualità di imprenditore dell’acquirente, cioè l’inerenza all’attività d’impresa.

Sorge, pertanto, il dubbio se il diritto di detrazione possa considerarsi acquisito qualora il contribuente, per circostanze che non siano estranee alla sua volontà, non compie operazioni attive imponibili riconducibili all’attività propria.

Le Sezioni Unite, nell’affrontare la questione, calata però in un contesto più complesso, non hanno chiarito in modo esplicito se il “doppio binario dell’inerenza”, a senso unico per le operazioni attive e a senso alternato per quelle passive, sia da considerare definitivamente superato.

Soccorrono, però, le indicazioni della Corte di giustizia UE (causa C-515/07 del 12.02.2009), che non danno rilevanza alla “tipicità” delle operazioni attive, cioè alla loro riconducibilità all’oggetto sociale, riconoscendo la detrazione “a monte” se il bene è stato tassato “a valle”, come è accaduto nel caso in esame, con la vendita dell’immobile assoggettata ad imposta.

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