Trasferimenti di beni a “se stessi” senza posizione IVA
di Marco PeiroloSuscita un certo interesse la sentenza resa dalla Corte di giustizia nella causa C-24/15 del 20 ottobre 2016 (Josef Plöckl), che ha visto coinvolto un imprenditore tedesco per la cessione di un veicolo aziendale, di sua proprietà, posta in essere in Spagna.
Il veicolo è stato inviato, ai fini della successiva vendita, ad un concessionario spagnolo nel corso del mese di ottobre 2006, mentre la cessione nei confronti dell’impresa acquirente, anch’essa spagnola, è avvenuta nel mese di luglio dell’anno successivo.
In sede di fatturazione, il venditore ha applicato l’esenzione da IVA prevista per le cessioni intracomunitarie, ma le Autorità fiscali tedesche hanno negato tale regime non tanto perché il veicolo, al momento della vendita, si trovava già in Spagna, quanto perché la fattura emessa non riportava il numero di identificazione attribuito dallo Stato membro di destinazione.
Preso atto della mancanza di un “sufficiente nesso temporale e sostanziale” fra l’invio del veicolo in Spagna e la vendita in tale Paese, si è trattato di stabilire se l’esenzione applicata dal venditore sia giustificata dalla disciplina dei trasferimenti a “se stessi”.
In pratica, non potendo qualificare l’operazione come intracomunitaria avendo per oggetto un bene già in territorio estero al momento della vendita, e quindi ivi rilevante agli effetti dell’imposta, resta da capire se la movimentazione del bene dal Paese di origine a quello di destinazione rientri nell’ambito dei trasferimenti intracomunitari per le esigenze dell’impresa, che la Direttiva IVA considera – al pari della normativa nazionale – come operazioni “assimilate” a quelle intracomunitarie e, dunque, detassate nel Paese di partenza in ragione della tassazione nel Paese di arrivo.
Il dubbio, che il giudice del rinvio ha voluto risolvere sollecitando l’intervento della Corte europea, si pone in considerazione dell’omessa identificazione del venditore tedesco in Spagna; questa circostanza, nella prospettiva del Paese di origine, ha sollevato l’interrogativo se l’esenzione sia ugualmente riconosciuta, tanto più che, nella prospettiva del Paese di destinazione, l’avvenuto trasferimento del veicolo non ha dato luogo all’applicazione dell’imposta come invece dovrebbe accadere per le operazioni classificate come intracomunitarie “per assimilazione”.
Constatata l’assenza di intenti fraudolenti, i giudici della Corte hanno risolto la questione ricordando, anzi tutto, che il trasferimento di un bene per le esigenze dell’impresa del soggetto passivo implica che tale trasferimento sia esente da IVA se effettuato per il medesimo soggetto passivo, che agisce in questa veste quando effettua operazioni riconducibili alla propria attività imponibile.
Nel contesto in esame, l’invio del veicolo in Spagna rientra nelle finalità imprenditoriali dell’operatore tedesco, per cui soddisfa i requisiti “sostanziali” richiesti dalla normativa per l’applicazione dell’esenzione, dovendosi di contro ritenere che l’indicazione in fattura del codice identificativo attribuito dal Paese di destinazione sia un requisito di carattere esclusivamente “formale”, non idoneo come tale ad incidere sul trattamento impositivo dell’operazione posta in essere, che deve essere considerata esente “all’origine” a prescindere dal regime applicato o applicabile “a destino”.
È vero, osservano i giudici comunitari, che l’indicazione in fattura del numero identificativo attribuito dal Paese di destinazione costituisce la prova che il trasferimento del bene è stato effettuato per le esigenze dell’impresa del soggetto passivo e che, di conseguenza, detto soggetto passivo agisce in quanto tale nel Paese di arrivo del bene. Tuttavia, la prova del trasferimento per le esigenze dell’impresa non può dipendere esclusivamente dall’indicazione in fattura del numero di identificazione perché la soggettività passiva d’imposta è collegata ad un dato sostanziale, ossia all’esercizio, in qualsiasi luogo, di un’attività economica.
In conclusione, per le operazioni intracomunitarie, la detassazione nel Paese membro di origine prescinde dall’identificazione nel Paese membro di destinazione del cessionario o, in caso di trasferimento per esigenze dell’impresa, dello stesso cedente. In quest’ultima ipotesi, una volta accertato che il bene sia trasferito nello Stato membro di destinazione per le esigenze dell’impresa, l’esenzione spetta – in virtù dell’assimilazione alle cessioni a titolo oneroso – a prescindere dall’avvenuta identificazione dell’operatore nello Stato membro di destinazione del bene.
In quest’ottica sostanziale, può pertanto affermarsi che, come principio generale applicabile anche al di fuori dei trasferimenti a “se stessi”, lo status e la qualità del destinatario del bene prescinde dal possesso del numero identificativo e la natura intracomunitaria dell’operazione può essere validamente comprovata con altri mezzi. Il numero identificativo, infatti, è un elemento idoneo a provare lo status di soggetto passivo del destinatario in quanto agevola il controllo tributario delle operazioni intracomunitarie, ma la soggettività passiva dipende dallo svolgimento di un’attività economica. Ne discende allora che gli articoli 18 e 19 del Regolamento n. 282/2011, sebbene riguardanti le prestazioni di servizi, assumono valenza esclusivamente probatoria: consentono, cioè, al prestatore di presumere che il committente abbia lo status e la qualità di soggetto passivo se quest’ultimo gli ha comunicato il proprio numero identificativo. Ma, allo stesso tempo, non precludono al prestatore la possibilità, in assenza di comunicazione, di avvalersi di altri elementi per dimostrare che il committente sia un soggetto passivo e che, nell’acquistare il servizio, abbia agito in tale veste.
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