30 Settembre 2022

Detrazione Iva per il cessionario di beni all’asta in assenza di versamento del cedente

di Gabriele Damascelli
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La scheda di FISCOPRATICO

Il sistema dell’Iva, come concepito in sede unionale, prima nell’articolo 17 par. 2 lett. a) della Direttiva 77/388 ed ora nell’articolo 168 della Direttiva 2006/112, risiede nella circostanza che, ad ogni passaggio, l’imposta è dovuta solo previa detrazione, esclusivamente in capo ai soggetti passivi autorizzati a detrarla, dell’ammontare dell’Iva che ha gravato direttamente sul costo dei vari elementi costitutivi del prezzo dei beni e dei servizi, ciò al fine precipuo di sgravare integralmente il soggetto passivo dell’imposta sulla singola operazione, per gravare, per effetto del principio di neutralità, sul consumo realizzato dall’acquirente finale.

La detrazione, quale pietra angolare del sistema comune dell’imposta, è inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’Iva dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche, garantendo in questo modo la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, intesa come neutralità concorrenziale fra le imprese, e ciò indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano di per sé soggette all’imposta (v. causa C-268/83, D.A. Rompelman c. Ministro delle finanze).

Tale impostazione sistematica può subire delle eccezioni che escludono il diritto a detrazione del cessionario/committente solo nell’ipotesi in cui sia verificata e dimostrata, alla luce di elementi oggettivi, la sua partecipazione cosciente e volontaria a fenomeni abusivi o frodatori.

Fuori da queste ipotesi deve essere sempre riconosciuto al cessionario il diritto alla detrazione dell’imposta a monte, anche nel caso in cui il cedente/prestatore, trovandosi in difficoltà finanziarie, dichiari ma ometta di versare l’imposta derivante dalla vendita all’asta di un proprio immobile, nonostante l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere che versando il primo in situazione di insolvenza non avrebbe adempiuto il proprio debito verso lo Stato.

È questo il caso da ultimo analizzato dalla Corte UE in C-227/2021, nel quale una banca, dopo aver concesso ad una società mutuataria un finanziamento per l’esercizio di attività nel settore edilizio a fronte di un’ipoteca volontaria su una particella di terreno con l’edificio in costruzione ivi insistente, cedeva ad un altro istituto bancario tutti i crediti finanziari derivanti dal contratto di mutuo insieme ai diritti costituiti a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni nonché alla garanzia ipotecaria.

In sede di stipula la banca acquirente confermava di essere venuta a conoscenza della situazione finanziaria di insolvenza della società mutuataria che era altresì oggetto di una procedura di risanamento aziendale.

A seguito della vendita all’asta di una parte del patrimonio immobiliare del mutuatario, la banca, per soddisfare i propri crediti, acquistava il bene e detraeva l’Iva versata a monte e successivamente chiedeva all’erario il rimborso dell’eccedenza Iva risultante da quella a monte detraibile.

L’Amministrazione finanziaria lituana, considerando di norma l’acquisto di merci da imprese che si trovano in difficoltà finanziarie quale espressione di un abuso del diritto, negava la detrazione a monte contestando alla banca acquirente di aver agito in mala fede, avendo acquistato l’immobile allorché sapeva o avrebbe dovuto sapere che il mutuatario non avrebbe versato o non sarebbe stato in grado di versare l’Iva all’Erario.

Qui la Corte ha concluso per il contrasto della prassi nazionale rispetto alla Direttiva Iva ed al principio di neutralità fiscale, escludendo altresì sia l’intento frodatorio delle parti sia l’abuso della ricorrente acquirente.

Sul tema della frode la Corte, evidenziando che il mutuatario insolvente aveva di fatto dichiarato l’Iva poi non versata, richiama il proprio precedente nella causa Scialdone in cui si distingueva opportunamente tra il mero omesso versamento e la mancata dichiarazione dell’Iva da parte del debitore dell’imposta, chiarendo che il primo esclude un qualsiasi beneficio per il soggetto passivo, dal momento che l’imposta rimane dovuta, oltre a significare un evidente differente grado di gravità rispetto alle frodi, e ciò indipendentemente dal carattere intenzionale o meno di detta omissione.

L’assenza di frode in capo al cedente in difficoltà finanziarie, quindi, non può traslare “generando” una condotta frodatoria in capo al cessionario che “sapeva o avrebbe dovuto sapere”, dal momento che una frode fiscale a livello unionale comporta “la mancata comunicazione di un’informazione in violazione di un obbligo specifico” o “l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti”.

Quanto al tema del possibile abuso dell’acquirente finalizzato ad ottenere un vantaggio fiscale contrario all’obiettivo della Direttiva Iva, ciò è da escludersi sostanzialmente a motivo della mancata opzione, da parte della Lituania, del meccanismo di inversione contabile di cui all’articolo 199, par. 1, lett. g), della Direttiva 2006/112 il quale, restringendo l’opzione ai soli beni immobili e prevedendo una semplice “facoltà” del singolo Stato membro, ci porta a dedurre che il sistema Iva non considera alla stregua di una mera equazione l’abuso del diritto all’acquisizione di beni immobili da un’impresa in stato di insolvenza, costretta a vendere forzatamente all’asta il proprio patrimonio. Diversamente la direttiva non prevederebbe tale facoltà ma un obbligo generalizzato in tal senso.

Ragionando diversamente e negando al cessionario di una vendita all’asta disciplinata dalla legge la detrazione d’imposta versata a monte perché “sapeva o avrebbe dovuto sapere” delle difficoltà finanziarie del cedente, verrebbero esclusi di fatto tali soggetti passivi dal mercato ostacolandone l’accesso e minando il fine ultimo del maggior soddisfacimento possibile dei creditori, oltre a porsi in chiaro contrasto con il principio di neutralità dell’Iva che non distingue tra imprese solventi ed insolventi.

Quanto poi al rispetto del principio citato, che mira a sgravare interamente il soggetto passivo dall’onere dell’Iva dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche, per giurisprudenza costante della Corte sin da leading case Optigen, è irrilevante ai fini del diritto di detrazione del cessionario/committente verificare se l’imposta dovuta sulle operazioni precedenti o successive sia stata o meno versata all’erario.

Occorre nello specifico valutare singolarmente ogni operazione senza che su questa, inscritta in una catena di cessioni, possano influire eventi precedenti o successivi, e ciò indipendentemente dall’intenzione, eventualmente fraudolenta, del soggetto passivo diverso da quello in disamina che intervenga nella stessa catena di cessioni, di cui il secondo non aveva e non poteva avere conoscenza, ma anche al fine di escludere pericolosi fenomeni di oggettivizzazione della responsabilità, da sempre esclusi dalla Corte, verso quei soggetti ignari della frode.

Nei casi di sospetta frode o abuso, è compito dell’Erario dimostrare, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal destinatario della fattura di verificare che il cedente disponesse dei beni di cui trattasi e fosse in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’Iva, che egli sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata per fondare il suo diritto alla detrazione si iscriveva in un’evasione dell’Iva.

La detrazione va riconosciuta anche nei casi in cui le società cedenti non disponevano dei mezzi umani e materiali necessarinon erano registrate ai fini dell’Iva, non effettuavano dichiarazioni fiscali, o operavano in immobili fatiscenti, indicati come sedi sociali, ciò che rendeva impossibile qualsiasi attività economica, non potendosi escludere che tale attività potesse essere svolta in altri luoghi diversi dalla sede sociale (v. sentenze Tóth, Vikingo Fővállalkozó Kft., Ferimet, Bonik e PPUH Stehcemp).