11 Settembre 2014

Dichiarazioni: la generosità non tollera ripensamenti

di Giovanni Valcarenghi
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La recente sentenza della Cassazione n.18757 del 5 settembre 2014 torna sull’argomento della 
ritrattabilità della dichiarazione dei redditi (nello specifico IVA, ma il principio è generale), cercando di 
circoscrivere il perimetro all’interno del quale può essere esercitata la facoltà di emendare l’originario modello.
Partiamo dal caso concreto per comprendere meglio.
Un contribuente ha 
erroneamente qualificato talune operazioni IVA, non avvedendosi che l’imposta connessa alle medesime 
non era immediatamente esigibile
ma poteva 
beneficiare della sospensione. In tal modo, ha compilato 
la dichiarazione annuale 
inserendo anche l’IVA delle suddette operazioni, incrementando così il debito nei confronti dell’Erario.
Non è stato 
effettuato, però, 
il versamento di tale imposta e, per conseguenza, 
il debito rimasto insoluto ha generato (probabilmente dopo l’emissione di un avviso bonario) 
una iscrizione a ruolo con emissione della relativa cartella esattoriale. Nelle more del procedimento di riscossione, lo stesso 
contribuente si era 
avveduto dell’errore ed aveva 
emendato la originaria dichiarazione annuale a proprio favore, 
oltre il termine annuale consentito dalla norma.
Impugnata la cartella, si è ottenuto 
un rigetto del ricorso tanto in Commissione Provinciale che Regionale; la vicenda, pertanto, è giunta sino alla Cassazione.
Analizzando la questione, i supremi Giudici riscontrano che 
la dichiarazione annuale è 
in linea di principio emendabile e ritrattabile, se dalla medesima derivano oneri contributivi diversi e più gravosi rispetto al reale debito. Se il modello è una 
esternazione di scienza, il medesimo può essere 
modificato in ragione della 
acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione rispetto a quelli originariamente considerati.
Ma l’affermazione più rilevante è quella in forza della quale 
il principio prima affermato 
non può essere considerato come 
avente validità assoluta, posto che il medesimo 
non permette la riformulazione ex novo della dichiarazione.
Via libera, dunque, per la correzione di errori materiali o formali, mentre scatta il 
semaforo rosso ogni volta che si pretenda di 
modificare un comportamento che corrisponde ad 
una delle possibili opzioni che il sistema mette nella disponibilità del contribuente.
Tale “blocco”, secondo la Cassazione, si produce 
ogni volta che 
sussiste un potere discrezionale nell’ “an” e nel “quantum” sull’obbligazione tributaria. Così, nella fattispecie in analisi, è stata ritenuta immune da vizi la sentenza della CTR che ha individuato nel comportamento del contribuente (che ha inserito in dichiarazione le operazioni ritenendo l’imposta già esigibile) la 
manifestazione di una scelta, vale a dire quella di 
considerare comunque dovuta l’imposta, anziché profittare del possibile regime di sospensione.
Se questo è lo scenario di riferimento, 
non vi sono spazi di possibile ripensamento, poiché non si è riscontrata la commissione di un errore bensì una opzione per un possibile comportamento.
Se si è compiuta una delle possibili scelte offerte dal sistema, senza commettere alcun errore, non sarebbe possibile operare alcun ravvedimento, nel senso che 
l’eventuale nuova dichiarazione rettificativa trasmessa resterebbe 
del tutto irrilevante per la liquidazione delle imposte dovute.
Si riprende, per comprendere meglio, il 
ragionamento che fu fatto 
in passato in relazione alla 
mancata rateizzazione della plusvalenza in dichiarazione; anche in quel caso, infatti, si affermò che l’avere assoggettato a tassazione l’intero importo non era un errore, bensì la manifestazione di una scelta tra quelle possibili. In particolare, l’amministrazione finanziaria affermò che, in tal caso, la 
modifica della scelta era ammessa, purché esercitata 
nel termine breve dei 90 giorni dalla scadenza del termine di presentazione.
Memorizziamo, dunque, 
il concetto
l’emendabilità della dichiarazione è un punto fermo, ma la correzione deve 
tradursi nella rimozione di un errore e 
non nel semplice 
cambiamento di una scelta originariamente operata. In tale ultimo caso, infatti, 
è ammissibile cambiare idea, purché il mutamento della scelta sia fatto 
entro il termine di presentazione della c.d. dichiarazione tardiva (90 giorni dalla scadenza originaria).