Dichiarazioni, occhio all’antieconomicità
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365All’avvicinarsi delle dichiarazioni dei redditi l’attenzione è prioritariamente dedicata agli aspetti tecnici dei modelli dichiarativi e dei vari adempimenti collegati, in primo luogo il funzionamento (e ovviamente i risultati) degli studi di settore. Spesso, però, si perde di vista un assunto fondamentale che emerge dal dato dichiarativo: lo stesso è valutato dall’Amministrazione finanziaria per l’eventuale costruzione delle liste selettive ai fini del controllo, soprattutto in funzione di anomalie più o meno marcate rispetto alla normalità del settore di appartenenza e, più in generale, alla credibilità della posizione del contribuente. In tale direzione è l’antieconomicità a rappresentare l’arma più utilizzata dall’Amministrazione finanziaria, attesa anche la sua “forza probatoria” pur in presenza di dati contabili formalmente corretti. Trattasi di un elemento derivato dalla irrazionalità delle scelte aziendali valutate nel complesso, con riscontri che non possono essere superficiali e limitarsi a pochi parametri numerici, dovendo invece raggiungere un grado di attendibilità necessario per il convincimento dell’organo giudicante. La giurisprudenza della Corte di Cassazione è difatti ormai costante e la riprova la si scorge anche in ormai numerosissime sentenze, ripetute nel tempo, come nel caso della sentenza n. 28190/2013, laddove è stato precisato che “(…) grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione all’eventuale antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili (…)”.




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