Dilemma del costruttore: vendere l’immobile con IVA o in esenzione?
di Cristoforo FlorioNel corso dell’attività di costruzione e vendita di immobili l’imprenditore può talvolta trovarsi dinanzi ad un interrogativo: la valutazione di convenienza nel vendere gli immobili costruiti dalla sua impresa con applicazione dell’IVA o in esenzione.
Malgrado il quesito presenti profili squisitamente tributari la sua corretta risoluzione è suscettibile di determinare delle conseguenze economiche e pratiche che possono essere non trascurabili, sia sotto il profilo dei costi del conto economico dell’impresa costruttrice che relativamente all’appetibilità commerciale del prezzo di vendita degli immobili.
Il tema si presenta particolarmente rilevante in relazione alle cessioni degli immobili aventi natura abitativa, per i quali si può verificare, in alcuni casi, una vera e propria contrapposizione di interessi tra il venditore e l’acquirente persona fisica.
Da un lato, infatti, l’impresa costruttrice può avere interesse ad applicare l’IVA sulla vendita onde evitare effetti negativi sul pro-rata dell’anno e, cioè, sulla percentuale di IVA detraibile nell’anno. La vendita in esenzione da IVA, infatti, è suscettibile di determinare una “trasformazione”, in tutto o in parte, dell’IVA detraibile in IVA indetraibile; l’imposta, cioè, si tramuta in un “costo”, con un vero e proprio incremento degli oneri di costruzione e conseguente compressione dei margini di guadagno dell’impresa. Inoltre, la cessione in esenzione da IVA potrebbe comportare l’obbligo di rettificare anche la detrazione dell’IVA operata nei 10 anni precedenti, a decorrere dalla data di ultimazione dell’immobile.
Il regime di esenzione IVA, dunque, rischia di impattare negativamente sia sull’anno in corso (anno di cessione) che su quelli precedenti, secondo i chiarimenti che si forniranno nel prosieguo.
Esaminando invece la situazione dal lato dell’acquirente finale persona fisica le valutazioni sono del tutto diverse; l’opzione per l’applicazione dell’IVA, infatti, determinerebbe per quest’ultimo l’obbligo di pagamento dell’imposta sul prezzo di compravendita indicato nel contratto di vendita in luogo del valore catastale del bene, normalmente inferiore all’importo della transazione immobiliare.
La persona fisica che acquista l’immobile ha interesse alla vendita in esenzione da IVA, in quanto ciò gli consentirebbe di corrispondere l’imposta di registro dovuta sull’acquisto in base alla regola del “prezzo-valore”; in altri termini, tale imposta sarà calcolata su una base imponibile determinata in misura pari al valore catastale (e non sul prezzo di compravendita), con un conseguente risparmio d’imposta per l’acquirente. Diversamente, l’opzione per l’IVA da parte del costruttore – al di là dell’aliquota IVA applicabile (4% nell’ipotesi di “prima casa”, 10% nel caso di “seconda casa” non di lusso e 22% nel caso di abitazioni accatastate in una delle categorie A/1, A/8 o A/9) – determina, in gran parte dei casi, un aggravio di costi per l’acquirente persona fisica, a causa della diversa base imponibile su cui corrispondere le imposte di acquisto.
Non sempre, tuttavia, l’impresa costruttrice ha facoltà di scelta in merito al regime IVA da applicare alla cessione degli immobili edificati.
L’articolo 10, comma 1, numero 8-bis), del D.P.R. 633/1972 dispone infatti che le cessioni di fabbricati abitativi poste in essere dalle imprese che li hanno costruiti o ristrutturati entro i cinque anni dalla fine dei lavori edili sono obbligatoriamente assoggettate ad IVA.
Al superamento del termine quinquennale, la vendita dei suddetti fabbricati è esente, a meno che l’impresa costruttrice/ristrutturatrice non abbia esercitato l’opzione per l’applicazione volontaria dell’IVA sulla compravendita.
Dunque, entro i cinque anni dall’ultimazione della costruzione o della ristrutturazione, non vi è alcuna possibilità di scelta per il costruttore: la vendita è obbligatoriamente soggetta ad IVA.
Solo al superamento del quinquennio entra in gioco il “dilemma del costruttore”: occorre cioè scegliere quale sia la strada più conveniente da intraprendere, ovvero decidere se vendere l’immobile con applicazione per l’IVA o in regime di esenzione. Da un lato, vi sono infatti le conseguenze negative ai fini IVA in capo all’impresa costruttrice e, dall’altro, vi sono gli aspetti relativi alla possibile riduzione dell’esborso finale dovuto dal compratore finale, con conseguente possibilità di commercializzare più agevolmente l’immobile.
Le valutazioni che deve operare l’impresa di costruzioni sono, essenzialmente, le seguenti.
La vendita in esenzione del fabbricato costruito dalla medesima impresa venditrice genera una quota di IVA indetraibile proporzionata alle operazioni esenti rispetto al totale delle operazioni dell’anno; maggiori sono le operazioni esenti rispetto al totale volume d’affari e maggiore sarà la quota di IVA indetraibile per il costruttore. Si verrà a determinare, cioè, una limitazione della detrazione dell’IVA assolta nell’anno della vendita dell’immobile, che si riverbera “a pioggia” su qualsiasi tipologia di acquisto, inclusi – quindi – anche gli acquisti di beni e/o servizi non specificamente relativi all’attività immobiliare.
Facciamo un esempio “semplificato”.
Un’impresa di costruzioni vende nel 2016 due fabbricati abitativi di sua costruzione (immobile A e B), entrambi ultimati da 6 anni. L’immobile A viene venduto a 100, oltre IVA, avendo l’impresa optato per l’applicazione volontaria dell’imposta, mentre l’immobile B viene alienato a 200, in esenzione da IVA. In tale caso, il volume d’affari complessivo dell’anno è pari a 300 (100 + 200). Il pro-rata di detraibilità dell’anno sarà pari al 33% (calcolato come rapporto tra i 100 di operazioni imponibili rispetto al volume d’affari complessivo di 300), conseguentemente l’IVA indetraibile dell’anno 2016 sarà pari al 67% (calcolato come “complemento a 1” dell’IVA detraibile, quindi pari alla differenza tra 100% e 33%) e riguarderà tutti gli acquisti di beni e/o servizi dell’anno 2016. Ipotizzando che l’IVA su tutti gli acquisti del 2016 sia stata pari a complessivi 100, l’IVA indetraibile che si trasforma in un vero e proprio costo sarà pari a 67 (67% di 100), con un aggravio di spese del conto economico di pari importo.
L’esempio testé riportato evidenzia gli effetti economici cui potrebbe andare incontro il costruttore in caso di vendita esente dell’immobile e può spiegare per quale motivo questi abbia interesse a vendere il bene con opzione per l’applicazione per l’IVA; nell’ipotesi di cessione soggetta ad IVA, infatti, il costruttore non avrebbe avuto alcun aggravio di costo.
Ma una precisazione è doverosa: la valutazione di convenienza deve essere operata anche in funzione della tipologia di costi sostenuti dall’impresa costruttrice. Laddove, infatti, il fabbricato sia stato costruito dall’impresa utilizzando proprie maestranze, è evidente che una quota parte dei costi di costruzione del fabbricato sarà stata rappresentata dalle buste paga degli operai impiegati sul cantiere, che sono spese al di fuori del campo di applicazione dell’IVA; pertanto, su tali costi il pro-rata non sortirà alcun effetto negativo, trattandosi di elementi non soggetti ad IVA. A questo punto, le limitazioni alla detrazione IVA impatterebbero esclusivamente sugli acquisti delle materie prime e sui beni finiti nonché sugli altri acquisti di beni e/o servizi soggetti ad IVA.
Con riferimento agli anni precedenti, va infine evidenziato che la cessione in esenzione da IVA potrebbe determinare una rettifica della detrazione dell’IVA operata.
Senza alcuna pretesa di esaustività si evidenzia che l’articolo 19-bis2 del D.P.R. 633/1972 prevede l’obbligo di rettificare la detrazione IVA qualora l’immobile sia ceduto in regime di esenzione entro un “periodo di sorveglianza” che, per tale tipologia di beni, è pari a 10 anni. In particolare, la rettifica sarà pari ai decimi mancanti alla scadenza del periodo decennale. Inoltre, qualora a seguito della cessione si generi una variazione del pro rata superiore al 10%, vi sarà l’obbligo di rettificare l’IVA su tutti gli acquisti di beni ammortizzabili, inclusi gli immobili, effettuati all’interno del periodo decennale di sorveglianza.
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15 Dicembre 2016 a 7:50
Gentile Florio, complimenti per l’articolo.
Se posso esprimere un mio desiderio, spero che Lei continui il suo esempio, con la possibilità di adottare separazione attività e delle sue eventuale complicazioni.
Ottimo il tipo di impostazione che da un problema concreto economico indaga gli aspetti regolamentari.
Grazie e buon lavoro