Diniego di autotutela impugnabile solo se sussistono ragioni di interesse generale
di Lucia Recchioni - Comitato Scientifico Master Breve 365Con l’ordinanza n. 7318, depositata ieri, 7 marzo, la Corte di Cassazione è tornata a ribadire il proprio orientamento in materia di impugnabilità del diniego opposto dall’Amministrazione finanziaria a fronte di un’istanza di annullamento in autotutela.
A una società veniva notificato un avviso di accertamento con il quale si contestava, per l’anno 2002, la mancata annotazione separata dei costi dichiarati con riferimento alle transazioni commerciali con gli operatori aventi sede in Paesi black list.
Successivamente, però, la normativa veniva modificata con effetti retroattivi, ragion per cui la società presentava istanza di annullamento in autotutela, impugnando il conseguente provvedimento di diniego.
La società risultava tuttavia soccombente sia in primo che in secondo grado, avendo i giudici attribuito rilievo esclusivamente alla circostanza che l’avviso di accertamento fosse ormai divenuto definitivo, ragion per cui proponeva ricorso per cassazione.
A tal proposito evidenziava che sono insuscettibili di essere annullati per autotutela soltanto quegli atti nei cui confronti si è formato il giudicato; inoltre, pur essendo l’annullamento in autotutela un potere che l’Amministrazione finanziaria può discrezionalmente esercitare, grava in ogni caso su di essa l’obbligo di riesaminare propri provvedimenti.
Anche la Corte di Cassazione, però, non ha accolto il ricorso del contribuente.
I Giudici della Suprema Corte giungono in primo luogo alla considerazione che l’elencazione degli atti impugnabili di cui all’articolo 19 D.Lgs. 546/1992 è suscettibile di interpretazione estensiva, e quindi anche i provvedimenti di diniego emessi a seguito di istanza di annullamento in autotutela possono essere impugnati.
Diversamente argomentando, infatti, il contribuente non potrebbe mai difendersi a seguito di un provvedimento di diniego, non essendo previsto in questi casi nessun ulteriore atto impositivo.
Come statuito dalla Corte Costituzionale, però, “in un contesto così caratterizzato,… nel quale l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto acquista specifica valenza e tende in una certa misura a convergere con quello del contribuente, non va trascurato il fatto che altri interessi possono e devono concorrere nella valutazione amministrativa, e fra essi certamente quello alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, inevitabilmente compromesso dall’annullamento di un atto inoppugnabile. Tale interesse richiede di essere bilanciato con gli interessi descritti… secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa. Sicché si conferma in ogni caso, anche in ambito tributario, la natura pienamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio” (Corte Costituzionale, sentenza n. 181 del 13.07.2017).
In considerazione di quanto appena esposto, dunque, il diniego di annullamento in autotutela può sì essere impugnato, ma il sindacato del giudice può riguardare soltanto profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere.
Il contribuente, quindi, quando intende impugnare un diniego di annullamento in autotutela non può limitarsi ad eccepire vizi dell’atto (essendo ormai questa possibilità preclusa) ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto.