Direttiva n. 1/2018 della GdF: alcuni principi generali
di Massimiliano TasiniCi vorrà tempo, e tanto, per assimilare e metabolizzare il lungo e densissimo documento redatto dal Comando Generale della Guardia di Finanza con il quale si forniscono Direttive per l’attività di verifica.
Detto documento, che fa seguito al precedente, e pure assai corposo, documento n. 1/2008, ha infatti trattato tante e tali questioni da imporre un approccio quanto mai approfondito.
Nondimeno, credo che sia possibile trarre alcune linee di azione che rivestono un grande interesse anche pratico.
In primo luogo, trova conferma la diversità di approccio tra i diversi organi dell’Amministrazione finanziaria, ed in particolare la natura di forza di polizia della Guardia di Finanza, in quanto tale con funzioni più marcatamente investigative: di talchè, la precipua finalità degli interventi “sul campo” è quella di contrasto ai fenomeni frodatori ed all’evasione di massa o diffusa.
In secondo luogo, nell’attività di selezione dei contribuenti da sottoporre a verifica vanno preferite le posizioni che, a parità di pericolosità fiscale, dispongano di patrimoni aggredibili, sui quali dunque poter far valere, in modo concreto e reale, la pretesa erariale. Si tratta di un’affermazione che certamente va letta nel contesto complessivo, ma che, se isolata, rischia di far passare un messaggio evidentemente distorto: ovvero che, laddove il cliente abbia “distratto” somme all’azione esecutiva esattoriale, così integrandosi i presupposti per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, previsto e punito dall’articolo 11 D.Lgs. 74/2000, potrebbe – certamente a torto – illudersi di poter entrare in un’area “di impunità”, con effetti sociali evidentemente deprecabili.
Sul piano poi del coordinamento dei diversi soggetti deputati all’attività di controllo, la Circolare richiama l’articolo 7 D.L. 70/2011, secondo cui, esclusi i casi straordinari di controlli per salute, giustizia ed emergenza, “il controllo amministrativo in forma d’accesso da parte di qualsiasi autorità competente deve essere oggetto di programmazione da parte degli enti competenti e di coordinamento tra i vari soggetti interessati al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni nell’attività di controllo”. Senonchè, tale coordinamento è reso difficile dalla mancata emanazione dell’apposito decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanza, di concerto con il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ne consegue che solo la prassi potrà cercare di evitare, per quanto possibile, sovrapposizioni, che potrebbero tradursi in ingiustificate reiterazioni dei controlli, e ciò anche avvalendosi di apposite procedure informatizzate.
Un altro elemento strutturale molto interessante è l’intreccio tra le attività di verifica e l’approccio “compliance”, quale delineato dalla Legge 190/2014, commi da 634 a 636. Non si tratta solo, come già appariva evidente, di favorire l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari segnalando al contribuente “classi” di anomalie nella disponibilità dell’Amministrazione Finanziaria; bensì anche e soprattuto di evitare, di regola, di avviare controlli nei confronti dei soggetti destinatari delle comunicazioni di compliance prima del termine concesso loro per appunto regolarizzare la propria posizione. Certo, vigente la nuova disciplina del ravvedimento operoso non è facile individuare detto termine, che in sostanza va a coincidere con la decadenza per l’esercizio per l’azione accertativa; ma il messaggio è comunque chiarissimo.