Diritto al contraddittorio indipendentemente dal luogo della verifica
di Massimiliano TasiniIn una pregevolissima (e coraggiosa) sentenza, la Commissione Tributaria Regionale di Milano, sez. 13 (Pres. E Rel. Izzo) conferma la tesi, più volte propugnata dalla giurisprudenza di merito, secondo la quale le garanzie (costituzionali) riconosciute dall’articolo 12, comma 7, dello Statuto dei Diritti del Contribuente operano anche con riguardo alle verifiche a tavolino, nella duplice considerazione che, da un lato, tale disposizione fa riferimento al “processo verbale di chiusura delle operazioni degli organi di controllo” ed anche in caso di invito rivolto al contribuente a comparire per produrre documentazione – articolo 51 D.P.R. 633/1972 – è previsto un onere di verbalizzazione; dall’altro, che, come ammonito dalla Suprema Corte, “… detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente, ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva” (Cass. SS.UU. Sentenza b. 18184/2013).
Con tutta la buona volontà, e pur con spirito costruttivo, si fa davvero fatica a comprendere come tale affermazione possa conciliarsi con l’altra, pure resa dalla stessa Corte, con la quale, sul presupposto della mancanza di un obbligo generalizzato al contraddittorio per i tributi “non armonizzati” (sic…) (Cass. SS.UU. 24823/2015) si afferma che le garanzie fissate dall’articolo 12, comma 7, L. 212/2000 opererebbero esclusivamente in riferimento ad accessi, ispezioni e verifiche effettuate nei locali in cui si esercita l’attività imprenditoriale o professionale (Cass. 12220/2017): detto in altri termini, il contribuente gode di un diritto di difesa, in quanto egli abbia subito una verifica presso la propria sede.
Il tutto tenendo conto che l’articolo 24 della L. 4/1929 recita: “le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale”, disposizione tuttora in vigore, atteso lo specifico richiamo operato dall’articolo 70 D.P.R. 600/1973.
Nella citata giurisprudenza si afferma che questa lettura sarebbe frutto di una precisa scelta legislativa, poiché la disposizione “risulterebbe palesemente calibrata sulle esigenze di tutela del contribuente in relazione alle visite ispettive”: ma non ci si avvede che l’ispezione è finita, e che tutti i contribuenti avrebbero il diritto di contraddire, indipendentemente dal luogo in cui la verifica è stata posta in essere: l’articolo 12, comma 7, tutela un diritto che nasce in una fase successiva, diritto che va amorevolmente protetto, ci sia permesso, anche in ragione della prassi, più volte constatata, dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate, di formulare i rilievi emergenti dall’ispezione non durante la verifica, ovvero nei verbali giornalieri, bensì al termine della stessa.
Io credo che in uno Stato democratico, un dibattito di questo tipo sia intollerabile; e credo pure che un’Agenzia delle Entrate che “… desidera iniziare a funzionare come stimolo di un profondo cambiamento sociale del Paese” (così si è espresso il nuovo Direttore dell’Agenzia) potrebbe forse tranciare il dibattito a monte, imponendo ai suoi funzionari la redazione del PVC anche nelle verifiche a tavolino, aprendo la strada al dialogo anche se la normativa sembrerebbe non imporlo.
Un amore di contraddittorio. Perché il dialogo, anche serrato, purchè costruttivo, è il passo fondamentale per il cambiamento.