Disciplina CFC: nuovi chiarimenti dalla Corte di Cassazione
di Domenico SantoroGianluca CristoforiSecondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 36050 del 07.12.2022), la circostanza esimente che consente di disapplicare la disciplina CFC (articolo 167 Tuir), in ragione dell’esercizio di un’attività economica effettiva da parte della società controllata estera nel mercato dello Stato estero di insediamento, deve essere interpretata tenendo in debita considerazione la ratio della disciplina, ovverosia “[…] l’intento del legislatore di contrasto all’abuso dello strumento societario in ambito internazionale, attraverso il ricorso a società controllate di natura fittizia prive di alcuna struttura realmente operativa nel territorio estero”.
Ne consegue che detta disapplicazione deve essere garantita allorquando, semplicemente, “[…] si provi l’esercizio di un’attività economica effettiva da parte della controllata estera, mediante la produzione di documentazione che dimostri l’esistenza di un fenomeno di delocalizzazione reale dell’impresa”.
A parere della Corte di Cassazione tale interpretazione trova “[…] conferma nella giurisprudenza Eurounitaria (v. CGUE sentenza 12.09.20016, causa C-196/04) e di questa Corte (vedi, tra le altre, Cass., 16.12.2015, n. 25281) le quali, in tema di contrasto all’abuso dello schermo societario, in ambito internazionale, hanno, sempre, dato rilievo, a tal fine, alle costruzioni di puro artificio mentre, di contro, hanno escluso l’applicazione di una misura impositiva antielusiva (quale quella in esame), ove da elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi, risulti che, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la controllata è realmente impiantata nello Stato di stabilimento e ivi eserciti attività economiche effettive”.
Per apprezzare appieno i chiarimenti forniti dalla Suprema Corte occorre in primo luogo ricordare che, prima delle modifiche recate dal D.Lgs. 142/2018, di recepimento della cd. Direttiva Atad, la succitata circostanza esimente era disciplinata dal comma 5, lett. a), dell’articolo 167 Tuir, a norma del quale “Le disposizioni del comma 1 non si applicano se il soggetto residente dimostra, alternativamente, che: a) la società o altro ente non residente svolga un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento”.
Occorre, inoltre, ricordare che l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 51/E/2010, discostandosi da quanto normativamente previsto e introducendo ulteriori condizioni non previste per legge, aveva sostenuto che, ai fini della dimostrazione di tale esimente, assumerebbe rilievo la circostanza che la società controllata non residente si rivolga direttamente al mercato locale (inteso come “[…] area geografica circostante, legata allo Stato di insediamento da particolari nessi economici, politici, geografici o strategici”) in fase di approvvigionamento e/o in fase di distribuzione, realizzando “[…] una percentuale di “acquisti” o di “vendite” sul mercato locale del territorio di insediamento superiore al 50 per cento”.
Tale interpretazione era stata peraltro rivista in sede di risposta all’interrogazione parlamentare n.5-10317 del 19 gennaio 2017, con la quale l’allora Viceministro dell’Economia e delle Finanze, “[…] sentiti i competenti Uffici dell’Amministrazione finanziaria” e “[…] tenuto conto anche della prassi applicativa dell’Agenzia delle entrate”, aveva chiarito che “[…] gli investimenti esteri che si concretano in reali insediamenti industriali e commerciali, con l’assunzione di dipendenti in loco, l’acquisto di sede, impianti e attrezzature, soddisfano, in linea di principio, i requisiti necessari alla dimostrazione dello svolgimento di un’attività economica effettiva nel territorio di localizzazione e, dunque, alla disapplicazione della disciplina in esame”.
Tale lettura del dato normativo è stata poi espressamente confermata anche dallo stesso Legislatore, modificando l’articolo 167 Tuir al fine di renderlo coerente e compatibile con la disciplina comunitaria da cui promana e, in particolare, con i presupposti applicativi sanciti dalla Direttiva Ue 2016/1164 del 12.07.2016 (cd. “Direttiva Atad”), recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno, di cui gli Stati membri dell’Unione europea devono tener conto nel legiferare sulla specifica materia, qualora non già fatto, ovvero per rendere coerente il quadro normativo nazionale con le prescrizioni imposte a livello comunitario, così da evitare misure nazionali eccessivamente gravose, rispetto a quanto richiesto per scongiurare il rischio di pratiche di elusione fiscale.
Per effetto di tali modifiche normative, l’articolo 167, comma 5, Tuir, nella versione novellata dall’articolo 4 D.Lgs. 142/2018, stabilisce quindi che “Le disposizioni […] non si applicano se il soggetto di cui al comma 1 dimostra che il soggetto controllato non residente svolge un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali”.
Tale disposizione rappresenta la mera trasposizione nell’ordinamento interno di quanto previsto dalla Direttiva Ue 2016/1164 del 12.07.2016 (cd. “Direttiva Atad”), che all’articolo 7, par. 2, lett. a), sancisce che “La presente lettera non si applica se la società controllata estera svolge un’attività economica sostanziale sostenuta da personale, attrezzature, attivi e locali, come evidenziato da circostante [leggasi circostanze] e fatti pertinenti”, e deriva dalla necessità di uniformare le discipline interne approvate dai diversi Stati membri ai chiarimenti forniti in più occasioni dalla stessa Corte di Giustizia dell’Unione europea.
Tale rigorosa lettura dell’articolo 167, comma 5, lett. a), Tuir è stata infine confermata anche dalla Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza n. 36050, depositata in data 07.12.2022, ha precisato che “[…] siffatta interpretazione dell’esimente in esame è stata, peraltro, fatta propria anche dall’Amministrazione, nei documenti di prassi (v. Circolare n. 18/E del 27.12.2021) emessi a seguito dell’entrata in vigore dal D.Lgs. 29 novembre 2018, n. 142, articolo 4, (di seguito, “Decreto Atad”), attuativo della Direttiva Ue 2016/1164 (c.d. “Direttiva Atad”) recante norme di contrasto alle pratiche di elusione fiscale attuate a livello transnazionale, che, nell’introdurre modifiche all’articolo 167 Tuir, ha pressoché lasciato immutata l’esimente di cui alla lettera a) del comma 5, oggetto di esame”.
La Corte di Cassazione, quindi, conferma che:
- l’intento perseguito dal Legislatore con la normativa CFC è quello di contrastare l’abuso dello strumento societario in ambito internazionale, perpetrato mediante l’utilizzo di società controllate aventi natura fittizia, ovverosia prive di struttura realmente operativa nel territorio estero. In ragione della ratio di tale normativa anti-elusione, lo stesso Legislatore ha riconosciuto la necessità di disapplicare la normativa CFC allorquando sia dimostrato l’esercizio di un’attività economica effettiva da parte della controllata estera;
- l’articolo 167, comma 5, del Tuir, nella versione novellata per effetto del recepimento della cd. “Direttiva Atad”, ha lasciato immutata – rispetto alla precedente formulazione della norma – l’esimente oggetto del presente contributo, risultando quindi evidentemente erronea la tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate con la risalente circolare 51/E/2010, smentita infatti nel prosieguo, dapprima (in costanza di legge), con la risposta all’interrogazione parlamentare n.5-10317 del 19.01.2017 e, infine, anche dallo stesso legislatore del D.Lgs. 142/2018.
Stupisce, quindi, la circostanza per cui taluni Uffici si ostinerebbero ad applicare tutt’ora l’ormai superata posizione contenuta nella succiata circolare 51/E/2010, ove si sostiene che, ai fini dell’applicazione delle norma esimente, assumerebbe rilievo che la società controllata estera, oltre a essere adeguatamente radicata sul piano infrastrutturale, debba anche rivolgersi al mercato locale in fase “di approvvigionamento” e/o “di distribuzione”, realizzando “[…] una percentuale di “acquisti” o di “vendite” sul mercato locale del territorio di insediamento superiore al 50 per cento”.