Disciplina fiscale delle attività faunistico venatorie
di Luigi ScappiniCon la recente consulenza giuridica n. 6/E/2024, l’Agenzia delle entrate ha confermato l’indirizzo di cui alla precedente risposta a interpello n. 392/E/2020, secondo cui le cessioni di “conigli domestici, piccioni, lepri, pernici, fagiani, rane e, in generale, “animali vivi”, scontano l’Iva con aliquota ridotta al 10% (ex numero 7), Tabella A, parte III, D.P.R. 633/1972) nella sola ipotesi per cui tali animali siano destinati all’alimentazione umana. Tale precisazione ministeriale offre l’occasione per verificare quale sia il corretto regime fiscale applicabile all’attività faunistico-venatoria esercitata da parte di imprenditori agricoli.
L’attività faunistico-venatoria trova la propria disciplina nella L. 157/1992 (la cd. Legge quadro sulla caccia), che prevede 2 distinte modalità di gestione privata dell’attività:
- senza fini di lucro, ma con lo scopo principale di preservare l’ambiente da un punto di vista naturalistico e faunistico; infatti, l’attività viene svolta nel rispetto di precisi programmi tesi alla conservazione e al ripristino ambientale; e
- “ai fini di impresa agricola”, fattispecie che prevede l’allevamento o l’acquisto di selvaggina, con successiva immissione e abbattimento della stessa nella tenuta.
L’Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 73/E/2018, affronta gli aspetti fiscali legati a tale attività, nell’ipotesi di imprenditore individuale e società semplice.
Limitando l’analisi all’attività consistente nella concessione dell’esercizio dell’attività venatoria a terzi, dietro pagamento di un corrispettivo, l’Agenzia delle entrate ha ricondotto tale attività tra le prestazioni di servizio da un punto di vista civilistico e, sotto il profilo fiscale, tra le “altre attività agricole”, di cui all’articolo 56-bis Tuir.
Trattandosi di attività connesse, deve essere sempre verificato il rispetto del parametro della prevalenza, come introdotto a seguito della Riforma del 2001. Come affermato nella circolare n. 44/E/2004 (e successivamente confermato nella risoluzione n. 73/E/2018), tale parametro deve essere verificato operando un confronto tra:
- il fatturato realizzato utilizzando le attrezzature e risorse aziendali normalmente utilizzate nell’attività principale e;
- il fatturato derivante dall’utilizzo di mezzi differenti.
Se il primo è prevalente, è possibile applicare, salvo opzione, l’articolo 56-bis, comma 3, Tuir, come espressamente previsto per le regole ordinarie.
Da un punto di vista Iva, le prestazioni di servizio andranno assoggettate ad aliquota ordinaria e, ai fini della detrazione, si renderà applicabile (nel rispetto dei requisiti richiesti dalla norma) quanto previsto dall’articolo 34-bis, D.P.R. 633/1972, ovverosia la detrazione forfettizzata in misura pari al 50%, salvo facoltà di optare per le regole ordinarie.
Tornando al caso esaminato con la consulenza giuridica n. 6/E/2024, come anticipato, l’indirizzo è consolidato nel ritenere stringente la previsione di cui al richiamato numero 7, Tabella A, parte III, D.P.R. 633/1972, che fa riferimento esclusivamente alle cessioni di animali destinati all’alimentazione umana.
Come sottolineato dalla Corte di Giustizia UE, nella sentenza del 3.3.2011, causa C-41/09, la ratio per cui viene riconosciuta un’aliquota agevolata per i prodotti alimentari, nonché gli animali vivi normalmente destinati all’alimentazione umana deve essere ricercata nella volontà del Legislatore di “rendere questi ultimi meno costosi e quindi più accessibili, per il consumatore finale, a carico del quale in definitiva è l’IVA”. E, a tale fine, non può ricondursi l’attività faunistico-venatoria avente, al contrario, finalità ricreative, formative e tecnico venatorie, come affermato dall’articolo 12, comma 2, L. 157/1992, che la definisce quale “atto diretto all’abbattimento o cattura di fauna selvatica”.
E non può essere richiamato, ai fini dell’applicazione dell’aliquota ridotta, quanto previsto dall’articolo 12, comma 6, L. 157/1992, con cui il Legislatore riconosce espressamente l’applicazione dell’aliquota ridotta al 10% per le cessioni di pesce vivo destinato prima alla pesca sportiva e, in un secondo tempo, all’alimentazione umana. In tal senso, depone, del resto, l’articolo 18-bis, D.L. 73/2021, con cui il Legislatore ha esteso, temporaneamente e in via del tutto eccezionale, l’aliquota ridotta del 10% anche alle cessioni di animali vivi destinati all’attività venatoria. Tale apertura rappresenta una deroga temporanea e, se fosse stato applicabile per similitudine quanto previsto dalla L. 157/1992 per la pesca sportiva, non sarebbe stato necessario l’intervento.
In senso conforme a quanto sin qui affermato, anche la recente sentenza n. 272/I/2023 della CGT di I grado di Pisa. Anche in questo caso, i giudici toscani hanno ricostruito la fattispecie sulla falsariga di quanto fatto dall’Agenzia delle entrate con la consulenza giuridica n. 6/E/2024, dando evidenza dell’eccezionalità della previsione derogatoria per gli animali destinati all’attività venatoria.