14 Giugno 2019

Disciplina fiscale per la gestione dei prodotti del bosco

di Luigi ScappiniMassimo Bagnoli
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Come noto, la L. 145/2018, meglio nota come Legge di Bilancio per il 2019, ha modificato, a distanza di pochi anni, il regime fiscale previsto per i raccoglitori occasionali di tartufi, nonché ricompreso il prodotto, nel limite di determinati quantitativi standard da definirsi con un decreto di prossima emanazione, tra quelli agricoscappli ai fini Iva.

Con l’occasione il Legislatore ha esteso l’ambito di applicazione del regime previsto per tali soggetti, a tutti coloro che operano nell’ambito del codice Ateco 02.30 (funghi, tartufi, bacche, frutta in guscio, balata e altre gomme simili al caucciù, sughero, gommalacca e resine, balsami, crine vegetale, crine marino, ghiande, frutti dell’ippocastano, muschi e licheni), nonché a quelli che effettuano la raccolta di piante officinali come regolamentata con l’articolo 3 D.Lgs. 75/2018 (in attesa dell’emanazione del decreto con cui saranno individuate quali piante si considerano tali).

Nel contesto di una revisione complessiva del settore, il comma 699 si occupa, inoltre, di introdurre un regime di favore per coloro che operano nel comparto dei prodotti selvatici diversi da quelli di cui sopra.

Ci stiamo riferendo, nello specifico, ai produttori agricoli che gestiscono la produzione di prodotti selvatici non legnosi non ricompresi nella classe Ateco 02.30 e nelle piante officinali di cui al D.Lgs. 75/2018.

Ancor prima di analizzare il regime introdotto, è opportuno definire compiutamente l’ambito oggettivo di applicazione individuando, in altri termini, quali sono tali prodotti selvatici non legnosi.

Il riferimento deve essere fatto al codice Ateco 02 e quindi, dovendo essere prodotti non legnosi, gli stessi non potranno essere che quelli ricompresi nel codice 02.30 ma coltivati e gestiti nel bosco quali funghi, resine e pigne, nonché il sughero.

A questo punto bisogna individuare chi sono i soggetti interessati dalla norma. Il dato letterale fa riferimento ai produttori agricoli che, combinato con l’ulteriore requisito richiesto, consistente nell’essere soggetti diversi da quelli di cui all’articolo 34, comma 6, D.P.R. 633/1972, rimanda alle definizione di cui al precedente comma 2 del medesimo articolo 34 D.P.R. 633/1972.

Ne deriva che, soggetti interessati sono gli imprenditori agricoli ex articolo 2135 cod. civ. e che non rientrano nel regime di esonero previsto dal comma 6, quindi, hanno alternativamente o un volume d’affari superiore a 7.000 euro o, pur rientrando nel limite del fatturato, lo stesso è composto per più di 1/3 da prodotti non ricompresi nella prima parte della Tabella A allegata al D.P.R. 633/1972.

Quindi, gli imprenditori agricoli, non esonerati ai fini Iva, che gestiscono la produzione nel bosco di prodotti selvatici non legnosi non ricompresi nella classe Ateco 02.30 e nell’articolo 3 D.Lgs. 75/2018 possono applicare il regime forfettario di cui alla L. 190/2014, con la precisazione che per tali soggetti il reddito viene comunque determinato su base catastale con conseguente disinnesco di quanto previsto dal comma 64 della L. 190/2014.

La previsione è di impatto rilevante, in quanto viene derogato il principio generale per cui, per poter dichiarare un reddito agrario è necessario aver svolto un ciclo biologico o comunque una parte necessaria dello stesso.

In questo caso la norma parla di gestione della produzione e non di produzione, con la conseguenza che sarà possibile, ad esempio, prendere in affitto per il periodo limitato della raccolta del tartufo, dei mirtilli, o per quello della decorticazione della pianta del sughero, un terreno boschivo e si andrà a dichiarare il reddito agrario relativo all’appezzamento preso in gestione, senza essersi occupati di nessuna fase del ciclo produttivo dello stesso.

Inoltre, altro elemento da tenere in considerazione è l’ulteriore conseguenza della scelta di optare per il regime forfettario, consistente nell’esenzione da Iva con indubbi impatti, da un punto di vista commerciale, sul prezzo praticato.

Si tratta evidentemente di una norma che cerca di districarsi nel complesso coacervo di disposizioni tributarie che poggiano su principi differenti e non sempre coincidenti e il risultato che ne scaturisce appare non in linea con le aspettative del legislatore.

Tra le diverse criticità che il dettato normativo del comma 699 porta in dote vi è il dubbio circa l’individuazione della corretta modalità contrattuale con cui formalizzare la “concessione” del bosco ai fini della gestione della produzione per un periodo di tempo limitato che non contempli una parte minima di ciclo agrario, quella “fase necessaria del ciclo biologico” che determinerebbe un’attrazione alle regole giuridiche e fiscali che disciplinato l’attività agricola della coltivazione del fondo e della silvicoltura.

Il contratto di fondo rustico presuppone infatti la concessione del terreno per il suo sfruttamento. Lo schema delineato dal comma 699, al contrario, è assimilabile alla vendita di frutto pendente o di cosa futura il che, tuttavia, rende difficile dargli una copertura di reddito fondiario a prescindere, in quanto mal si comprende quale dovrebbe essere.

In caso contrario, per poter “attribuire” parte del reddito agrario in capo all’affittuariogestore” si dovrebbe prevedere lo svolgimento di una fase necessaria del ciclo biologico e in tal modo si tornerebbe allo schema conosciuto dell’affitto di fondo rustico.

Ne deriverebbe, quale immediato corollario, che la forza innovativa della norma andrebbe individuata nella deroga all’utilizzo del regime forfettario anche in presenza di determinazione del reddito in via forfettaria.

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