Discutibile sentenza della CTR Lombardia sulle sportive dilettantistiche
di Guido MartinelliLa CTR Lombardia ha recentemente adottato una decisione (Sez. XXI, sentenza n. 2294 del 28.05.2019) non priva di spunti di criticità.
Tutto nasce da un avviso di accertamento in cui viene contestato che una associazione abbia svolto una vera e propria attività commerciale con scopo di lucro ad opera di due fratelli, ritenuti soci di fatto del contribuente, riclassificato come ente commerciale, beneficiando quindi impropriamente della L. 398/1991 (e della quale comunque non vi è prova dell’effettivo utilizzo).
Oggetto dell’attività era un bacino di pesca sportiva “ad uso esclusivo degli associati che in modo del tutto volontario” collaboravano con le due persone fisiche coinvolte a titolo personale nell’apertura dell’impianto e nella sua gestione.
In primo grado la CTP Sondrio ha respinto il ricorso dell’associazione e delle due persone fisiche coinvolte sulla cui decisione la contribuente ha interposto appello.
La parte di maggiore interesse deriva da uno dei punti cardine del ricorso del contribuente: la difesa secondo la quale il fatto che alcune delle attività svolte nella sede dell’attività avessero natura commerciale, e come tali fossero suscettibili di generare utili, non comportava, necessariamente, la trasformazione della associazione in società lucrativa, né la configurazione di una società di fatto tra gli associati.
L’Agenzia, d’altro canto, eccepiva che l’associazione in esame non possedeva: “i requisiti previsti per le associazioni sportive dilettantistiche” in quanto non aveva istituito alcuna delle scritture contabili previste dalla normativa vigente, mancava la partecipazione dei soci alla attività sociale, non erano stati attivati registri sociali, mancava la redazione ed approvazione del bilancio: in sintesi è stata riscontrata l’assenza di una gestione amministrativa trasparente.
La CTR rigetta il ricorso. In via preliminare confermando la tendenza giurisprudenziale ormai consolidata, e cioè che è l’ente associativo, indipendentemente dai requisiti formali posseduti, che deve dimostrare l’effettivo diritto a godere delle agevolazioni previste per tali tipi di enti.
Ribadisce, poi, che, oltre ai vincoli statutari previsti dall’articolo 90, comma 18, L. 289/2002, deve comunque sussistere una organizzazione con un ordinamento interno a base democratica.
Pertanto, sulla base della totale assenza dei presupposti collegati alla vita associativa, ne fa conseguire il Giudicante di appello, il rigetto del ricorso.
Ribadisce, poi, la sentenza, che: “deve ritenersi acclarato che i soci tesserati del C.. nella sostanza erano meri clienti di un soggetto (non avente scopo di lucro che invece esercitava una vera e propria attività commerciale) ad opera dei sigg…. (soci di fatto del C..) i quali si sono avvalsi, impropriamente, delle agevolazioni fiscali previste per le associazioni sportive dilettantistiche; soci di fatto che hanno totalmente occultato materia imponibile”.
Ne fa risultare che risulta confermata la tesi erariale secondo cui i due presunti soci di fatto “hanno svolto una vera e propria attività commerciale in proprio avendo la piena disponibilità della cassa con cui gestivano gli introiti (incluse le quote dovute al tesseramento dei soci) e procedevano al pagamento dei fornitori esclusivamente per contanti..”
La decisione della CTR Lombardia ci induce ad un paio di riflessioni.
La prima legata al mancato rispetto, da parte delle associazioni, di quel minimo di organizzazione (regolare convocazione delle assemblee, rendicontazione economica delle attività svolte, trasparenza nelle transazioni) che, ovviamente, in sede di accertamento porta a disconoscere la natura associativa dell’ente.
Come già ricordato, le associazioni pensano con la testa dell’assemblea e agiscono con quella del consiglio direttivo.
La circostanza che non vi sia la possibilità di provare questo modus operandi sicuramente pone il contribuente in una situazione di difficile difesa della sua natura giuridica.
Ma se di questo occorre dare pacificamente atto, sia all’ente accertatore che al Giudicante, la critica che emerge è quella della equazione “attività commerciale uguale finalità lucrativa” che appare erronea e fuorviante.
La sentenza è antecedente, anche se di pochissime settimane, alla risoluzione 63/E/2019 della Agenzia delle entrate che correttamente ha ribadito che lo svolgimento di una attività commerciale non costituisce, di per se, segnale di finalità lucrativa.
E ciò è ancora più vero per le associazioni sportive dilettantistiche per le quali il legislatore, consapevole della particolarità dell’attività svolta, ha espressamente riconosciuto l’inapplicabilità dell’articolo 149 Tuir sulla perdita della natura di ente non commerciale.
Pertanto una asd rimane ente non commerciale a prescindere dalla tipologia di attività svolta, anche se e ove fosse esclusivamente di natura commerciale.
La perdita della qualifica deriverebbe esclusivamente dalla prova di una effettiva distribuzione di utili, prova che, dalla lettura della sentenza, non si evince sia stata fornita.