Distrazione delle spese legali: fatturazione al committente
di Enrico FerraRiccardo RighiL’imposta sul valore aggiunto è ispirata al criterio della neutralità nei confronti dei soggetti che esercitano attività economiche, criterio necessario al fine di garantire che le operazioni arrivino fino al consumatore finale senza eventuali distorsioni causate dal carico fiscale.
In termini pratici, la neutralità dell’imposta si realizza attraverso:
- l’istituto della detrazione (a monte), che non può mai essere negata o limitata se non in casi eccezionali tassativamente previsti;
- l’istituto della rivalsa (a valle);
- l’individuazione dei soggetti autorizzati ad esercitare la rivalsa e a portare l’imposta in detrazione.
Infatti, in base a quanto previsto dall’articolo 18 del D.P.R. 633/1972 “il soggetto che effettua la cessione dei beni o prestazione di servizi imponibile deve addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente”.
La rivalsa Iva, pur originando da una norma tributaria, rappresenta un rapporto di tipo privatistico tra prestatore/cedente e committente/cessionario, rapporto al quale il Fisco rimane estraneo (si veda al riguardo Cassazione 5140/1998): l’obbligo tributario di addebitare l’Iva in rivalsa rappresenta, infatti, il solo obbligo di “far sorgere” il credito, non già quello di esercitarlo.
In tale scenario la fattura assolve una funzione fondamentale, essendo il mezzo attraverso il quale viene esercitata la rivalsa: la sua emissione vale come momento di effettuazione dell’operazione imponibile costituendo, da un lato, il fatto generatore del debito d’imposta (l’imposta è infatti dovuta per il solo fatto che è esposta in fattura ai sensi dell’articolo 21, comma 7, D.P.R. 633/1972) e del diritto alla detrazione e, dall’altro, il documento nel quale viene addebitata l’imposta in rivalsa.
Dalla formulazione dell’articolo 18 si ricava poi un altro importante principio, ossia che il soggetto a cui addebitare l’imposta, mediante l’emissione della fattura, è il cessionario o committente della prestazione.
I principi appena enunciati, ossia l’obbligatorietà della rivalsa e l’individuazione del cessionario/committente quale destinatario della stessa, assumono fondamentale importanza nel processo interpretativo delle problematiche Iva relative alla distrazione delle spese legali ai sensi dell’articolo 93 c.p.c., così come, del resto, in tutte quelle circostanze nelle quali non vi sia coincidenza fra il soggetto cessionario o committente di una prestazione e il soggetto pagante. Invero, le stesse norme in materia di distrazione delle spese legali, sebbene rendano complessa l’applicazione dei meccanismi della rivalsa e della detrazione, non possono alterare i principi generali dell’imposta sul valore aggiunto ed è la stessa Corte di Cassazione a riconoscere come le norme processuali in materia di distrazione non possano influire, in senso modificativo, sulla normativa tributaria.
In base all’articolo 93 c.p.c. in materia di distrazione delle spese legali, il Giudice, con la sentenza che chiude il processo, condanna la parte soccombente a pagare gli onorari non riscossi direttamente al legale della parte vittoriosa.
In tale scenario si pone quindi il problema di individuare il soggetto al quale fatturare l’operazione, in quanto il cliente/committente della prestazione professionale non coincide con il soggetto che paga il corrispettivo: la parte soccombente è tenuta a pagare all’avvocato distrattario le somme che sarebbero dovute dal cliente dello stesso in forza di un contratto d’opera cui la soccombente è estranea.
Il caso è stato affrontato dalla Corte di Cassazione con una sentenza a Sezioni Unite piuttosto datata ma ancora molto attuale nei contenuti. La sentenza è la 3544/1982, in cui la Corte ha stabilito che l’avvocato della parte vittoriosa, nell’ipotesi prevista dall’articolo 93 c.p.c., sarà tenuto ad emettere fattura nei confronti del proprio cliente (committente) sebbene, in forza del provvedimento di distrazione, riceva dalla parte soccombente il pagamento dell’onorario. Tale fattura includerà anche l’Iva nel solo caso in cui essa rappresenti un costo per il cliente vittorioso (nel caso, ad esempio, questi non sia autorizzato a portarla in detrazione).
La Corte ribadisce poi che il legale della parte vittoriosa è autorizzato a richiedere il pagamento alla parte soccombente in forza di un “titolo nuovo e diverso”, di fonte processuale e non più tributaria, e che con l’inclusione in tale pagamento della parte relativa all’imposta sul valore aggiunto non si verifica un’indebita estensione dell’area della rivalsa, la quale non può che essere effettuata nei confronti del cliente cessionario/committente, pena “l’aberrante risultato di un esercizio della rivalsa del tutto difforme dagli schemi di cui al D.P.R. 633/1972”.
Di conseguenza, gli scenari proposti dai giudici di legittimità sono i seguenti:
- nel caso in cui la parte vittoriosa non sia autorizzata a portare in detrazione l’Iva (ad esempio quando si tratta di un privato), il legale emetterà fattura nei confronti del cliente (committente), con l’annotazione che la solutio del corrispettivo e della relativa imposta è avvenuta da parte della soccombente.
- nel caso in cui la parte vittoriosa sia autorizzata a portare in detrazione l’Iva, il legale emetterà fattura nei confronti del cliente (committente) ricevendo dallo stesso il solo pagamento dell’Iva, con l’annotazione che la solutio relativa all’imponibile è avvenuta da parte della soccombente.
Le considerazioni espresse dalla Corte di Cassazione confermano quindi che l’emissione della fattura va necessariamente effettuata nei confronti del solo soggetto committente o cessionario, in quanto il meccanismo cardine dell’imposta sul valore aggiunto non può che essere ricercato nel rapporto tra prestatore/cedente e committente/cessionario. D’altro canto, anche nel caso della distrazione delle spese, la soccombente, che fornisce il denaro utile all’attuazione della rivalsa, non si sostituisce al committente nel rapporto tributario essendo il credito azionato non di natura tributaria ma un “mero” costo di processo, collegato sì all’obbligazione tributaria ma solo in termini “parametrici”.
21 Giugno 2018 a 16:16
Buongiorno ho letto con attenzione il vostro articolo, ma ho qualche dubbio in relazione al alcune sentenze della Cassazione civile (per esempio sezione III 19.2.2014 n. 3968). Mi piacerebbe, se possibile parlarne con voi.
Cordiali saluti,