Dividendi CFC ante 2015: tax credit o tassazione al 5%
di Pietro VitaleLa risposta fornita in VI Commissione Finanze alla Camera, a seguito di interrogazione presentata dagli Onorevoli Barbanti e Pelillo (atto camera 5/10317), rende ancora più evidente l’attuale, e per certi versi ingiusto, sistema di tassazione dei dividendi formati con utili pregressi al 2015, percepiti da società residenti in Italia e distribuiti da proprie controllate, per le quali la disciplina CFC si rende applicabile (Controlled Foreign Companies) nel 2016 ma non negli anni precedenti (in quanto magari non incluse in alcun D.M.). La maggiore problematica si pone per le CFC di cui ai commi 1 e 4 dell’articolo 167 del TUIR (le cui regole di individuazione risultano sostanzialmente cambiate dal 2016 in avanti) e non quelle di cui al comma 8-bis dell’articolo 167.
Si ricorda che per il 2016 il nuovo comma 4 dell’articolo 167 individua i Paesi CFC come quei Paesi in cui “il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia”. In precedenza la formulazione del comma 4 faceva riferimento al D.M. 21.11.2001 che includeva in esso quei Paesi con livello nominale di tassazione inferiore al 30% (fino al 31.12.2014) o al 50% (fino al 31.12.2015); dal 2016, invece, è necessaria una verifica fai da te per valutare se il livello nominale di tassazione estero sia inferiore del 50% di quello italiano.
Tale altalenante definizione dei Paesi black list ai fini della CFC, ha un impatto di non poco conto sulla tassazione degli utili pregressi – provenienti da una controllata qualificabile come CFC nel 2016 ma non negli anni precedenti – maturati in periodi di imposta anteriori a quelli in corso alla data di entrata in vigore (2015) del decreto internazionalizzazione D.Lgs. 147/2015.
Infatti, il decreto internazionalizzazione ha introdotto il credito di imposta indiretto (underlying tax credit) sui dividendi per quelle CFC per le quali si è in possesso della sola prima esimente di cui all’articolo 167, comma 5, lett. a), TUIR (svolgimento di attività commerciale nello Stato estero).
In base all’articolo 3, comma 4, del D.Lgs. 147/2015, il credito di imposta indiretto “si applica a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché agli utili distribuiti ed alle plusvalenze realizzate a decorrere dal medesimo periodo di imposta. Per tali utili e plusvalenze il credito d’imposta previsto dal presente articolo è riconosciuto per le imposte pagate dalla società controllata a partire dal quinto periodo d’imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
La norma non distingue gli utili distribuiti in base all’esercizio di maturazione, facendo invece solo riferimento alla mera distribuzione/realizzo del dividendo/plusvalenza. La concessione di tale credito nei limiti delle imposte pagate a partire dal quinto anno precedente al 2015, ossia dal 2010, lascia presupporre che si applichi solo agli utili maturati a partire dal 2009(?) in avanti (occorrerebbe capire quando le imposte di un esercizio in quello Stato estero si pagano in relazione ad esempio al 2009 o meno); per gli anni anteriori al 2009 non spetterebbe alcunché. Ciò sarebbe anche in linea con la ratio della norma sulle CFC la quale vuole evitare il tax deferral.
Pertanto, qualora una controllata fosse nel 2016 qualificabile come CFC, la controllante potrebbe beneficiare del credito di imposta indiretto sul dividendo percepito anche laddove l’utile distribuito fosse maturato in esercizi in cui la controllata non era qualificabile come CFC, purché maturato nel quinquennio anteriore al 2015.
Il riconoscimento del credito di imposta indiretto è una magra consolazione per la controllante dato che la tassazione nello Stato estero potrebbe essere inferiore a quella italiana. Questo è stato il motivo per cui il Question time ha mirato, invano, ad ottenere la più vantaggiosa tassazione ordinaria al 5% del dividendo.
Si ricorda, infatti, che il credito di imposta indiretto prima si aggiunge al reddito complessivo (per lordizzare il dividendo) e poi si sottrae dall’imposta italiana. Il credito di imposta è riconosciuto in proporzione agli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione e nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali utili che sia definitiva secondo le consuete regole dell’articolo 165 TUIR.
Ciononostante potrebbe esservi ancora dello spazio per sostenere la tassazione al 5% del dividendo; infatti, il Question time conclude affermando che sono allo studio dell’Amministrazione finanziaria opportuni approfondimenti sulle modalità di applicazione del regime di integrale concorrenza alla base imponibile per quei dividendi maturati in periodi anteriori al 2015, in cui la controllata non era considerabile come CFC in base alle regole vigenti in tali periodi, ma lo è diventata in base alle nuove regole nell’anno di incasso del dividendo.
All’uopo si ritiene che l’Amministrazione finanziaria non potrà non considerare anche le regole dettate nella circolare AdE 35/E/2016, al par. 1.3., in tema di dimostrazione della seconda esimente in relazione agli esercizi in cui l’utile è maturato.
Pertanto, ad esempio, qualora l’utile percepito nel 2016 (quando la controllata rientra nella normativa CFC) fosse maturato nel 2014 (quando la controllata non rientrava nella normativa CFC), se per tale esercizio fossero soddisfatte le condizioni per la dimostrazione della seconda esimente contenuta nel paragrafo 1.3. della circolare AdE 35/E/2016, si dovrebbe concludere che la parte di dividendo percepita relativa a tale esercizio 2014 dovrebbe essere tassata al 5% (ossia tax rate effettivo estero > 50% dell’aliquota nominale IRES+IRAP; ovvero tax rate effettivo estero > 50% tax rate virtuale domestico).
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