Dividendi esteri fra “netto” e “lordo” frontiera
di Marco AlberiL’imposizione dei dividendi esteri, percepiti da persone fisiche che non detengono le partecipazioni in regime d’impresa, sconta difficoltà interpretative circa la diversa quantificazione della base imponibile in funzione dell’intervento (o meno) di un intermediario residente nella riscossione dei predetti redditi.
In particolare, i commi 4, 4-bis dell’articolo 27, D.P.R. 600/1973, prevedono l’assoggettamento dei dividendi esteri ad una ritenuta a titolo di imposta del 26%, applicata dall’intermediario residente intervenuto nella riscossione, da calcolarsi sui dividendi percepiti al netto delle ritenute subite nello Stato estero di residenza della società erogante (la base imponibile rappresenta il c.d. “netto frontiera”).
Diversamente, nel caso in cui i dividendi siano percepiti dal socio persona fisica senza l’intervento di un intermediario residente, l’articolo 18, comma 1, Tuir, prevede l’assoggettamento degli stessi redditi “ad imposizione sostitutiva delle imposte sui redditi con la stessa aliquota della ritenuta a titolo d’imposta”. Sul punto l’Agenzia delle entrate ha più volte ribadito la sua posizione (si veda, da ultimo, la risposta ad interpello n. 111/2020), specificando che, in quest’ultimo caso, l’imposta sostitutiva deve essere calcolata sui dividendi percepiti al lordo delle ritenute subite nello Stato estero di residenza della società erogante (la base imponibile rappresenta il c.d. “lordo frontiera”).
Così interpretando, i redditi in oggetto sconterebbero la medesima aliquota (pari al 26%), seppur con basi imponibili diverse, in funzione dell’intervento (o meno) di un intermediario residente nella riscossione del dividendo.
In dottrina (per tutti si veda la denuncia n. 15 del 2020 dell’AIDC Milano) è stato osservato che l’interpretazione data dall’Amministrazione finanziaria conduce ad un trattamento fiscale discriminatorio, in contrasto con i principi comunitari (nello specifico il riferimento è agli articoli 56 e 63 T.F.U.E.).
Anche la giurisprudenza di merito sembra convergere su queste conclusioni (Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Milano sentenza n. 2973/2023), seppur con diverse argomentazioni.
Nella citata sentenza i giudici di merito, dopo aver ripercorso il diverso approccio adottato dalla Corte di Giustizia UE (causa del 1.7.2010 C-233/09, Dijkman) rispetto alla posizione assunta dall’Agenzia delle entrate, ritengono applicabile il “netto frontiera” anche in assenza dell’intervento di un intermediario residente nella riscossione.
La Corte di Giustizia Tributaria, infatti, analizzato il dettato normativo dell’articolo 18 Tuir, rileva che il principio ivi stabilito prevede che i redditi in commento (ad eccezione di quelli di provenienza paradisiaca) debbano essere assoggettati ad imposizione sostitutiva nella medesima misura della ritenuta alla fonte praticata in Italia per proventi di identica natura a titolo di imposta sui redditi.
E per questo, a parere dei giudici della Corte di Giustizia, in linea con le indicazioni rivenienti dalla UE, la base imponibile sulla quale calcolare l’imposta sostitutiva non può che coincidere con il netto ricevuto, dovendosi interpretare in questo senso la locuzione “redditi di capitale corrisposti” di cui al primo comma dell’articolo 18.
Diversamente argomentando, continua la Corte di Giustizia Tributaria, l’assoggettamento di tali redditi esteri ad una duplice diversa imposizione, derivante dall’applicazione di un imponibile ragguagliato al netto o al lordo frontiera, comporterebbe una ingiustificata duplicità di trattamento in capo al soggetto percettore, in netto contrasto con il principio costituzionalmente garantito della tassazione in funzione della capacità contributiva.