Dividendi intracomunitari in uscita e nozione di beneficiario effettivo
di Fabio LanduzziNelle operazioni transfrontaliere relative al pagamento in ambito comunitario di interessi e royalties, e alla distribuzione di dividendi, le questioni afferenti alla rilevanza della nozione di “beneficiario effettivo” ed in modo particolare ai rapporti con i principi dell’abuso del diritto sono tuttora irrisolte e presentano profili di incertezza molto significativi che si contrappongono, invece, alla sentita necessità di chiarezza nei rapporti infragruppo.
Il tema, anche dopo le “famose” c.d. “sentenze danesi”, è tanto sentito ed attuale che l’Agenzia delle Entrate ha aperto un tavolo di lavoro proprio finalizzato ad approfondire questi temi.
Sono stati perciò pubblicati molti contributi in dottrina, fra cui anche quello di Assonime nel recente documento “Note e Studi n. 10/2020”.
Vediamo ora di focalizzare, seppure in modo molto limitato e generale, alcune delle principali questioni che attengono al pagamento dei dividendi da una società italiana ad una sua controllante residente in altro Stato dell’Unione Europea.
Partiamo dall’osservare che il riferimento al “beneficiario effettivo” si atteggia in modo diverso nell’ambito delle Convenzioni contro le doppie imposizioni (Modello Ocse) e del relativo Commentario, rispetto a come lo stesso viene posto nelle Direttive UE; e, a sua volta, molto diverse sono, in questo ultimo ambito, le regole riferite al pagamento di interessi e royalties (Direttiva n. 2003/49/Ce) rispetto a quelle riferite al pagamento di dividendi (Direttiva madre-figlia n. 2011/06/Ce).
È sufficiente osservare che, nella Direttiva madre-figlia, il concetto di beneficiario effettivo non viene neppure citato; va anche ricordato quale è la ratio di tale Direttiva, ovvero quella di favorire il raggruppamento di imprese all’interno della UE, e di fare in modo che l’utile della società figlia sia assoggettato ad imposizione una sola volta presso la medesima, rendendo così i dividendi esenti sia da ritenuta in uscita che da imposizione nello Stato di residenza della società madre.
In questo contesto, sopraggiunge poi la clausola anti abuso, la quale si applica in tutte le Direttive UE.
Quindi, il punto cruciale di tutta la questione diventa proprio il sovrapporsi della nozione di beneficiario effettivo (che, ricordiamo, è assente nella Direttiva madre-figlia) con la clausola anti abuso.
Ed è in questo contesto che si collocano le c.d. “sentenze danesi”.
Ebbene, che le Direttive UE non possano essere usate per fini abusivi (ad esempio, da società meramente conduit per trasferire utili a imprese non comunitarie) costituisce un principio indiscutibile e meritorio.
Ma il punto di attrito, che non è affatto risolto dalle sentenze danesi, è se sia giusto o meno che la nozione di beneficiario effettivo e quella di abuso mantengano una distinzione; la risposta a questo interrogativo, obiettivamente, dovrebbe essere positiva, ma ciò non appare affatto delineato dalle suddette sentenze danesi.
Il concetto di fondo che si intende sottolineare è che non ci trova affatto concordi l’affermazione secondo cui le sentenze danesi importerebbero de plano, nell’ambito della Direttiva madre-figlia, la nozione di beneficiario effettivo.
Questa interpretazione, ribadisce Assonime, non pare corretta.
Un esempio è lampante: può essere ammesso che, per il semplice fatto che la società holding madre comunitaria distribuisca i suoi utili ai suoi soci (comunitari o non), siano questi ultimi ad essere automaticamente qualificati come i beneficiari effettivi dei dividendi pagati dalla figlia?
La risposta dovrebbe essere del tutto negativa, fatto salvo, appunto, che vi siano elementi per applicare una clausola anti abuso dimostrando, con tutte le tutele procedurali del caso, che la società madre ha funto da mero schermo fittizio.
Altrimenti, la società holding intermedia starebbe agendo nel suo ruolo naturale, e quindi legittimo.
In altri termini, nell’ambito della Direttiva madre-figlia, e quindi restando nel contesto della distribuzione di dividendi, solo l’applicazione della clausola anti abuso dovrebbe trovare applicazione, presupponendo quindi una disamina a 360 gradi dell’operazione; se così è, allora, il contribuente avrebbe la possibilità di dimostrare che non ci è stato alcun indebito vantaggio fiscale, come ad esempio potrebbe avvenire quando il contribuente fosse in grado di dimostrare che tali dividendi avrebbero potuto comunque beneficiare dell’esonero da imposizione anche ove fossero stati pagati direttamente al soggetto residente nello Stato terzo, in base ad una norma interna o convenzionale.
Come premesso, il tema presenta elevate complessità ed è quindi fonte di molti spunti di riflessione, che impattano poi fortemente sull’ulteriore tema estremamente complicato della definizione della sostanza economica della società holding, e quindi della sua genuinità, che non può essere certo misurata secondo indicatori fisici, bensì indagando le funzioni economiche e finanziarie che la holding assolve nella struttura di investimento (ad es.: segregazione del rischio, indirizzo strategico, monitoraggio degli investimenti, ecc.).