10 Ottobre 2014

Divieto di concorrenza anche nella cessione di quote societarie

di Fabio Landuzzi
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La
Corte di Cassazione, con la
sentenza n. 14471 del 25 giugno 2014, ha affrontato in via indiretta l’annosa questione del rapporto fra la
disciplina civilistica del divieto di concorrenza previsto dall’
art.2557, cod.civ., in materia di
alienazione dell’azienda, ed altre fattispecie analoghe quali la
cessione di partecipazioni in società di capitali, laddove la situazione si presti comunque a presentare ipotesi di
sviamento della clientela e quindi
sottrazione dell’avviamento riferito all’impresa ceduta.
Il tema controverso è se la disposizione stabilita dall’art.2557, cod.civ., che impone a
colui che aliena l’azienda di astenersi, per un periodo di
cinque anni dal trasferimento,
dall’iniziare una nuova attività
idonea a sviare la clientela dell’azienda trasferita, sia applicabile anche alla cessione di quote partecipative in una società di capitali, quando sulla base delle
circostanze di fatto il Giudice accerti che la fattispecie sostanziale presenta i connotati simili a quelli dell’alienazione dell’azienda.
Nel caso di specie, già il Giudice di appello aveva rinvenuto l’esistenza di circostanze fattuali tali da far ritenere il cedente responsabile della
violazione del divieto di concorrenza ex art.2557, cod.civ., e la titolare dell’impresa acquirente come responsabile di
concorrenza sleale ex art.2598, cod.civ..
La Corte di
Cassazione, a cui si era rivolta la parte soccombente in appello, ha dapprima riconosciuto che la norma di cui all’
art.2557, cod.civ.,
non ha una natura eccezionale, per cui non se ne può escludere una sua
applicazione in via analogica.
In altri termini, il divieto posto all’alienante dell’azienda dalla norma citata non ha come detto il carattere della eccezionalità, bensì sarebbe volto a disciplinare in modo adeguato anche quelle fattispecie che producono comunque gli
effetti tipici connaturati al trasferimento dell’azienda.
Di conseguenza, nel caso trattato dalla sentenza in commento, viene affermato dalla Suprema Corte che è
possibile l’estensione per via analogica dell’art.2557, cod.civ., anche alla fattispecie della
cessione di quote di una società di capitali laddove l’indagine delle circostanze di fatto, tenuto conto delle peculiarità del caso concreto, porti ad accertare che la cessione stessa ha nella sostanza prodotto la
sostituzione di un soggetto ad un altro nella conduzione dell’azienda.
Secondo la sentenza in commento, si tratta di un principio che ha portata generale; come tale, esso è applicabile anche al caso in cui il venditore inizi a svolgere una attività commerciale concorrente avvalendosi di
schermi societari proprio al fine di dissimulare la propria posizione.
Infine, afferma la Cassazione, tale principio ha carattere di “
relatività”; ovvero, nei limiti temporali fissati dall’ordinamento (i cinque anni), l’applicazione del divieto resta soggetta al giudizio circa l’
idoneità della nuova impresa a sviare la clientela e quindi l’avviamento della impresa ceduta, una circostanza che deve essere
valutata in concreto e quindi di caso in caso.