Documenti intestati ai dipendenti: gli acquisti online
di Roberto CurcuIn un precedente contributo abbiamo analizzato il caso di dipendenti che, nel corso delle trasferte, sostengono spese facendosi rilasciare dei documenti che non sono delle fatture emesse nei confronti del proprio datore di lavoro, ma sono a sé intestati, oppure anonimi; abbiamo visto come l’allegazione di tali documenti alla nota spese dimostra l’inerenza della spesa per il datore di lavoro.
Nel precedente contributo, poi, si è data enfasi ad un passaggio della circolare 326/E/1997 secondo cui nella nota spese dei dipendenti potrebbero anche essere inserite quelle piccole spese che sarebbero di competenza del datore di lavoro, ma che sono sostenute dal dipendente per snellezza operativa, evitando quindi di dover chiedere al venditore l’emissione di una fattura per l’acquisto di una risma di carta per la stampante o per le pile della calcolatrice.
In questo senso, ci si potrebbe chiedere se qualche chiavetta USB acquistata online possa fare la stessa fine…
Infine, si è dato atto che se un dipendente acquista dei beni nell’ambito di una trasferta fuori dal territorio della Ue, e li porta in Italia, si realizza una importazione, per la quale deve essere presentata una dichiarazione doganale. Sul punto, data la definizione di importatore prevista dal codice doganale, alcune considerazioni devono essere fatte anche nel caso degli acquisti online.
Da un punto di vista Iva, gli acquisti online possono essere distinti in quattro grandi categorie: acquisti di servizi elettronici, acquisti intracomunitari, acquisti di beni che sono già in Italia ed importazioni.
Le ultime tre operazioni hanno ad oggetto un bene mobile materiale che arriva in azienda, e per distinguerle tra loro sarebbe necessario capire da dove è stato spedito il bene; in questo senso, di ausilio sono spesso le indicazioni in fattura ed i numeri identificativi ai fini Iva utilizzati dai venditori.
Prima di vedere le varie fattispecie di acquisti online, una considerazione è d’obbligo riguardo al fatto che non si sia in presenza di un documento di spesa intestato all’azienda. La domanda da farsi, secondo me, è se è comunque da considerare l’azienda come acquirente, oppure il dipendente.
Se si sostiene che il bene sia stato acquistato dal dipendente per il proprio uso personale (si pensi ad una custodia per smartphone…), ma pagato con carta di credito aziendale, in capo all’azienda non sorgerà alcun obbligo Iva.
Tuttavia, deve essere tenuto conto che se si sostiene tale tesi, si finisce nei fatti per fare un regalo al dipendente, e sono da valutare i connessi obblighi di sostituzione di imposta. Qualora invece sia evidente che il bene è stato acquistato per motivi aziendali, fermo restando che non si esclude la possibilità che possa essere contestata l’inerenza del costo per erronea intestazione della fattura, chi scrive ritiene che eventuali obblighi Iva relativi all’acquisto ricadono sull’azienda.
Iniziamo analizzando le importazioni. Potrebbe giungere in azienda un bene per cui è stata fatta una bolletta doganale intestata al dipendente anziché alla azienda; qualora il valore dichiarato in importazione sia di modesto importo, si potrebbe anche non essere in presenza di una vera e propria bolletta doganale, in quanto l’Iva in dogana è stata assolta dal venditore tramite IOSS o dal corriere con il regime speciale per la dichiarazione e il pagamento dell’IVA all’importazione.
In questo caso, parrebbe logico dover correggere l’operazione, contattando l’ufficio doganale per una revisione dell’accertamento (cosa complessa perché senza documento doganale non si conosce nemmeno quale sia l’Ufficio presso cui è stata fatta la dichiarazione).
Passiamo agli acquisti di beni che sono già presenti in Italia, ceduti da venditori esteri.
Quando il venditore emette correttamente fattura a nome dell’azienda, in genere si capisce che la circostanza è questa dal fatto che il fornitore indica un numero di partita Iva italiana in fattura e/o il riferimento all’articolo 17 D.P.R. 633/1972 o all’articolo 194 della Direttiva 2006/112/CE.
Nel caso di operazione resa a privato, invece, si potrebbe non avere nessun documento giustificativo, oppure avere un documento, anche sotto forma di fattura, che indica l’assolvimento dell’Iva italiana. In questo caso – se si considera acquirente l’azienda – la stessa deve emettere una autofattura.
Passiamo agli acquisti comunitari di beni, cioè quelli spediti in Italia da altro Paese UE.
Normalmente, se viene emessa fattura all’azienda, li si riconosce dal fatto che è indicato un numero di partita Iva comunitario verificabile nel VIES e talvolta l’indicazione all’articolo 138 della Direttiva 2006/112/CE.
Nel caso di vendita da comunitario a privato italiano, vi sarà in genere assolvimento dell’imposta italiana tramite OSS, e quindi potrebbe esserci un documento con indicata la partita Iva estera e l’Iva italiana.
In questo caso – se si considera acquirente l’azienda – la stessa deve emettere una autofattura.
Teoricamente, se l’azienda è obbligata alla compilazione del modello Intra 2-bis dovrebbe indicare l’operazione nello stesso modello, ma ai fini pratici ci si domanda se abbia senso, posto che il fornitore (che considera come acquirente il dipendente) non ha fatto speculare dichiarazione a nome dell’azienda. Insomma, va valutato se fare le cose corrette e correre il rischio di essere controllati per disallineamenti, o fare le cose non corrette diminuendo questo rischio…
Stesso problema visto sopra si ha quando si acquistano servizi elettronici, in quanto se il fornitore individuasse che il cliente è un soggetto passivo stabilito in Italia, l’azienda dovrebbe assolvere l’IVA italiana con reverse charge e nel caso dichiarare l’operazione nel modello Intra 2-quater, mentre se il cliente è un privato italiano (dipendente) in genere l’operazione è assoggettata ad IVA italiana da parte del fornitore con il sistema OSS. Anche in tale caso l’assolvimento dell’Iva con autofattura è consigliabile, la comunicazione in Intra 2-quater è da valutare.