15 Luglio 2014

È arrivato il consenso informato

di Michele D’Agnolo
Scarica in PDF

Vent’anni fa, fresco di servizio militare, mi sono iscritto all’Ordine dei Dottori Commercialisti di Trieste. Uno dei miei primi incarichi consistette nel discutere con un piccolo cliente dello studio paterno della sua posizione previdenziale. Il giovane artigiano apparteneva a quella schiera di persone che considera ogni prelievo statale una succhiata di sangue e che ha cessato da tempo di credere oltre che a Babbo Natale anche al welfare state.

In buona sostanza l’artigiano non ne voleva sapere di pagare l’Inps per la propria posizione artigiana.

Pratica assai delicata, quella affidatami, in quanto anche i muri sanno che la previdenza è assolutamente obbligatoria. L’unico modo legittimo che ha un artigiano per evitare l’assoggettamento a contribuzione è quello di crescere la propria attività fino a farla diventare una attività industriale, per l’aumento dimensionale, oppure mutare la veste giuridica del business in una società a responsabilità limitata. In tale ultimo caso, infatti, l’iscrizione alla gestione separata artigiani e commercianti avviene soltanto facoltativamente, quindi a eventuale richiesta dell’artigiano stesso. Il tutto sempre che si riesca a comprovare inconfutabilmente la neutralità o almeno la non elusività fiscale della trasformazione.

Ovviamente, nell’illustrare al cliente le varie alternative, sottolineai scrupolosamente all’artigiano che il suo gesto, la sua scelta era tutt’altro che priva di conseguenze economiche.

Ricordo perfettamente di avergli detto in faccia: “Guarda che rimarrai senza pensione”. E ricordo anche che mi rispose con sufficienza: “Non ti preoccupare, ho una polizza privata e comunque sono molto parco nelle mie spese e quindi mi manterrò con i miei risparmi”.

Mentre i miei capelli cadevano e imbiancavano per le preoccupazioni dei miei clienti, l’artigiano ha avuto meritato successo negli affari e trovato pure l’amore. Ha da poco conosciuto una ragazza, molto più giovane di lui, che è diventata la sua compagna e gli ha ridato nuova vita e nuove emozioni. Ma gli ha sistematicamente prosciugato il conto in banca.

Il tempo, però, passa per tutti. Anche i suoi capelli si sono ingrigiti e si sono fatti sempre più radi, anche se si atteggia a giovincello tirandosi su il colletto della polo e vestendo pantaloni alla moda.

Superata la sessantina, è tornato a trovarmi qualche giorno fa, per riparlarmi della sua pensione. Mi ha riferito che con sua grande sorpresa si è recato all’Inps dove gli hanno detto che non aveva una posizione contributiva. Sbattendo i pugni sul tavolo mi ha incolpato, senza mezzi termini, di averlo lasciato senza pensione.

Ho provato a ricordargli dei nostri colloqui, ma nonostante gli atteggiamenti da giovincello, stranamente ha avuto un attacco di senile amnesia proprio in corrispondenza di quell’incontro.

La conversazione non è finita in modo particolarmente piacevole. Mi ha infatti suggerito di non utilizzare l’attacco come penosa strategia quando non si sa che pesci pigliare e ci si trova in torto marcio: “Avresti dovuto avvertirmi che sarei rimasto senza pensione, adesso mi hai messo in un guaio. Chi penserà alla mia povera compagna?” Avrei tanto voluto rispondergli “La tua compagna è tutt’altro che povera visto tutti i soldi che ti ha succhiato e inoltre mi sembra che sappia pensare già molto bene da sola ai fatti suoi.” Io mi sono taciuto e lui se n’è andato con un diavolo per capello. Vi farò sapere come va a finire. Ma non è questo il punto.

Il punto è che in questi tempi di vacche magre e di molti controlli, lo sport nazionale di certa clientela è diventato quello di usare lo studio commerciale e di consulenza del lavoro come capro espiatorio di qualsiasi scelta antecedente, più o meno creativa, di cui lo studio non possa provare per iscritto la scriminante.

E non possiamo nemmeno invocare a carico del cliente la famosa “legge” di Papagianni, per cui l’assenza di prove non costituisce prova di assenza.

Il cliente mette la nostra parola contro la sua e se non vuoi perderlo magari ti tocca pure rifonderlo, o almeno fargli lo sconto vita natural durante.

Bei tempi quelli in cui con una stretta di mano ci si accordava e il cliente si prendeva, per sempre, le proprie responsabilità. Tempi che con ogni probabilità non torneranno più.

Dovremo allora cominciare a fare come i medici che quando ti vai a togliere anche un semplice brufolo ti fanno previamente leggere e firmare di tuo pugno un piccolo trattato di medicina, dove peraltro si paventano disgrazie inenarrabili che di solito a metà lettura ti casca la penna. Solo così saremo in grado di comprovare che fornendo i nostri consigli, che si devono ovviamente limitare soltanto a quanto rigorosamente lecito, abbiamo comunque sempre illustrato pro e contro di ogni soluzione.

E attenzione anche a come e dove conserviamo queste preziose lettere di manleva. La legge di Murphy insegna che di solito le manleve sono le prime carte dei fascicoli del cliente ad andare smarrite o comunque le uniche ad essere prontamente restituite. Per non parlare dell’encomiabile zelo con cui i nostri dipendenti le cestinano ripulendo i fascicoli da questi preziosi documenti – e solo da questi – prima dell’archiviazione. Non sarebbe inoltre la prima volta che i verificatori prendono a spunto un parere che paventa possibili conseguenze negative proprio per spiccare un verbale di accertamento, come pare sia accaduto – per esempio – a Dolce e Gabbana nel primo famoso caso in cui all’ elusione fiscale è stata data rilevanza penale. La classica aspettativa che si autorealizza. Si salvi chi può.