È fiscalmente legittimo il comodato d’uso di stampi
di Fabio LanduzziNon sembrano esservi dubbi sulla deducibilità delle quote di ammortamento dei beni strumentali concessi in comodato d’uso ai terzisti per il loro impiego in attività connesse al business del concedente; tanto la prassi dell’Amministrazione Finanziaria (si veda la circolare 51/E/2000, la risoluzione 196/E/2008 e la circolare 90/E/2011) quanto la giurisprudenza hanno riconosciuto che l’attività d’impresa può essere svolta anche attraverso un “procedimento complesso caratterizzato dalla esternalizzazione di fasi più o meno ampie di produzione” (Cassazione, n. 1389/2011), così che i relativi costi concorrono alla determinazione dell’imponibile del soggetto comodante quando sono connessi alla “realizzazione del suo programma economico” ossia “consentono al comodante di ottenere i benefici prodotti con le macchine date in comodato”.
Assume quindi un certo interesse la sentenza della CTP Milano n. 2075 del 07.05.2019, non tanto per l’esito (dato che conferma la liceità fiscale dell’operazione in questione), quanto per la modalità accertativa sottostante e su cui i Giudici milanesi sono stati chiamati a decidere.
Nel caso di specie, infatti, i verificatori non hanno contestato alla società proprietaria dei beni (si trattava di stampi) concessi in comodato d’uso al terzista la non deducibilità delle quote di ammortamento dei relativi costi capitalizzati per l’acquisto di tali beni, bensì hanno eccepito l’omessa tassazione di presunti canoni di noleggio.
In altri termini, è stata contestata alla società una riqualificazione del contratto da comodato d’uso a locazione onerosa e, di conseguenza, sono stati eccepiti omessi canoni assoggettati a tassazione in misura, guarda caso, proprio pari a quella delle quote annue di ammortamento.
La sintesi della fattispecie riportata nel testo della sentenza qui in commento non consente naturalmente di avere una piena cognizione dei fatti di causa, ma lascia quantomeno sorpresi, dal punto di vista squisitamente tecnico, un simile approccio accertativo.
In sostanza, al comodante, che ha regolarmente formalizzato la consegna degli stampi mediante documenti di trasporto recanti la causale “prestito d’uso” non poteva certo contestarsi una presunzione di cessione onerosa dei beni, ed allora è stata eccepita una sorta di dissimulazione di un contratto di noleggio oneroso di tali beni.
Sulla base delle evidenze documentali prodotte dalla società, i Giudici hanno riconosciuto infondata la eccezione di “inverosimiglianza” del comodato d’uso concluso dalla società con il suo terzista, anche in ragione della consuetudine del settore ed ancora di più dei dati economici relativi proprio alla marginalità economica dell’attività svolta dalla società; infatti, se quest’ultima avesse noleggiato gli stampi al terzista addebitandogli un canone, giocoforza questi avrebbe ricaricato il maggior costo sul prezzo applicato alla cessione verso il comodante dei beni realizzati con l’impiego degli stampi, e quindi, in ultima analisi, la società avrebbe molto probabilmente peggiorato il suo risultato economico.
In altre parole, la prospettazione dei verificatori avrebbe sì prodotto una situazione anti economica per l’impresa accertata.
È in conclusione auspicabile che il tema dei beni strumentali utilizzati dal terzista per la realizzazione di componenti in esclusiva per conto di un proprio committente – che può avvenire in varie forme come quella del comodato d’uso, quando si tratta di cespiti realizzati o comunque di proprietà del committente, o di compartecipazioni ai costi di realizzazione, quando lo stampo è realizzato con onere iniziale a carico del terzista – sia dirsi definitivamente risolto, in modo che consuetudini invalse in alcuni settori produttivi e frutto di un modello industriale efficace ed efficiente non debbano scontare il rischio di contestazioni talvolta eccessivamente astratte ed atecniche.