È legittimo l’accertamento che non si esprime sulle osservazioni del contribuente?
di Angelo GinexL’avviso di accertamento emesso a seguito di un Pvc è valido anche se non menziona le osservazioni formulate dal contribuente ai sensi dell’articolo 12, comma 7, L. 212/2000. È questo il principio di diritto (poco condivisibile) enunciato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 1778 del 23.01.2019.
La vicenda dalla quale prende le mosse il contenzioso deciso dalla Suprema Corte riguarda l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso al fine di recuperare a tassazione la maggiore Iva, Ires e Irap relative all’anno d’imposta 2004.
Dopo l’esito negativo del giudizio di primo grado e di quello di seconde cure, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione. Il contribuente, invece, in considerazione del rigetto dell’appello incidentale proposto avverso la decisione della Ctp, decideva di effettuare un ricorso incidentale innanzi alla Corte di Cassazione.
Le questioni di diritto sollevate dalla società controricorrente riguardavano la presunta violazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, dell’articolo 12, comma 7, L. 212/2000.
Secondo la linea difensiva impostata dalla contribuente, infatti, i giudici della Ctr avevano errato sia nel ritenere infondata la censura relativa all’omessa valutazione delle osservazioni formulate dal contribuente in sede di processo verbale di constatazione, sia nel giudicare come ininfluente la permanenza dei verificatori presso la sede della società verificata oltre il termine di 30 giorni stabilito dalla norma, stante l’assenza di una proroga.
I giudici del Supremo Consesso hanno reputato prive di pregio giuridico le contestazioni summenzionate, ricostruendo in maniera specifica e dettagliata la fattispecie de qua.
In primo luogo, essi hanno ricordato che la violazione del termine di permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente, stabilito dal citato articolo 12, comma 5, non comporta la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo.
In sostanza, anche se gli operatori dell’Amministrazione permangano oltre il tempo stabilito dalla norma senza munirsi di una proroga, non potrà sussistere l’invalidità degli atti compiuti e delle prove raccolte.
Questa conclusione deriva sia dalla mancanza di un’esplicita sanzione in merito a questo tipo di violazione da parte del legislatore, sia dal fatto che una simile mancanza non comporta alcuna compressione dei diritti del contribuente.
In secondo luogo, la Corte ha negato esplicitamente la nullità dell’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni poste in essere dal contribuente ai sensi dell’articolo 12, comma 7, L. 212/2000.
Questo assunto parte dal presupposto, già accennato, che la nullità possa essere dichiarata solamente in due ipotesi: quando sia stabilita dalla legge oppure nell’eventualità in cui dalla violazione di una norma derivi una lesione dei diritti o delle garanzie del contribuente.
Nel caso di specie, secondo i giudici di legittimità nessuna delle due ipotesi si è verificata. Se è vero che l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare le osservazioni del contribuente, è anche vero che essa non deve necessariamente esternare l’esito di detta valutazione nell’atto impositivo.
Detto in altri termini, la questione è riconducile ad una mera problematica espressiva: se l’Ufficio afferma di non aver analizzato e preso in considerazione i rilievi del contribuente, l’atto impositivo è nullo; se, invece, l’Agenzia nulla dice in merito alle osservazioni, l’atto risulta valido ed efficace.
A sommesso parere dello scrivente, la decisione in rassegna risulta inopportuna.
La Cassazione, infatti, sembra non aver soppesato correttamente il ruolo di garanzia assunto dall’articolo 12 L. 212/2000, il quale incentiva e sprona l’Amministrazione finanziaria a prendere in considerazione le giustificazioni e le difese approntate dal soggetto verificato, in ossequio al fondamentale principio del contraddittorio preventivo ed endo-procedimentale.
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