È possibile emendare la dichiarazione in giudizio
di Luigi FerrajoliLa Corte di Cassazione torna sull’annosa questione dei limiti posti alla emendabilità delle dichiarazioni periodiche consentita nei termini di cui all’art. 2, commi 8 e 8-bis del D.P.R. n. 322/1998, termini tutt’altro che chiari e univoci, da cui è derivato il caso affrontato nella sentenza n. 26187 del 12.12.2014.
Ai sensi del citato art. 2, le dichiarazioni periodiche possono essere integrate dai contribuenti, per correggere errori o omissioni, entro il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo.
La giurisprudenza ha tuttavia riconosciuto il diritto del contribuente ad accedere al rimborso, in caso di maggiori versamenti non dovuti, anche oltre i limiti temporali imposti per la rettifica delle dichiarazioni periodiche.
Nel caso affrontato nella sentenza in commento una società riceveva una cartella per il pagamento di somme dovute all’erario a titolo di imposte dirette e Iva e scaturenti dal controllo automatizzato delle dichiarazioni fiscali per l’anno 2001.
La contribuente otteneva in via amministrativa lo sgravio per le imposte dirette ma non per l’Iva, nonostante l’errore commesso ed evidenziato dalla società avesse comportato l’esposizione di un debito inesistente verso l’erario, a fronte di un proprio reale credito.
La società, pertanto, impugnava l’iscrizione a ruolo per l’insussistenza della pretesa fiscale azionata, ma il ricorso veniva respinto in primo grado con decisione confermata in appello.
In particolare la Commissione tributaria regionale adita riteneva decorso il termine legale per emendare la dichiarazione fiscale errata, ai sensi del D.P.R. n. 322/1998, evidenziando che il contribuente non avrebbe potuto “discutere direttamente presso l’organo giurisdizionale sulla esistenza di un proprio errore pregresso da accertare in contraddittorio con l’Agenzia, ma fuori della sede amministrativa sua propria”.
La società contribuente ricorreva per la cassazione della sentenza di appello, sostenendo la tesi che, in caso di presentazione di una dichiarazione annuale Iva che erroneamente esponga un’imposta a debito in realtà non dovuta e come tale non versata, il contribuente possa fa valere tale errore attraverso l’impugnazione del ruolo emesso a seguito della liquidazione scaturente da mero controllo automatizzato. Affermava inoltre che il processo tributario (art. 19 del D.Lgs. n.546/1992) non pone alcuna limitazione in tale senso, così come non ne pone il regolamento per la presentazione delle dichiarazioni (art. 2, comma 8-bis del D.P.R. n. 322/1998) riguardo ai termini per la dichiarazione rettificativa.
La Suprema Corte, accogliendo le doglianze della ricorrente, richiama il principio di diritto, già espresso in seno agli stessi giudici di legittimità, secondo cui, nel rispetto dell’art. 53 Cost., la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione ed incidenti sull’obbligazione tributaria, è esercitabile non solo nei limiti in cui la legge prevede il diritto al rimborso, ai sensi del D.P.R. n. 602/1973, art. 38, ma anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria (cfr. Corte di Cassazione ord. n. 3754/2014, sentenze n. 2226/2011 e n. 22021/2006).
Ciò in quanto, a parere dei Giudici, la dichiarazione fiscale non avrebbe natura di atto negoziale e dispositivo, ma recherebbe una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, costituendo essa un momento dell’iter volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria (SS.UU., sent. n. 15063/2002).
Inoltre, osserva la Corte che le esigenze di mera stabilità amministrativa, in ossequio alle quali si è sostenuta in passato la non modificabilità della dichiarazione, non possono giustificare una limitazione del diritto del contribuente a versare le imposte secondo il principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 Cost..
Tale conclusione è ritenuta, altresì, in sintonia con la disposizione dell’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente, secondo cui i rapporti tra contribuente e Fisco devono essere improntati al principio di collaborazione e buona fede, essendo appunto conforme a buona fede non versare somme non dovute, ancorché dichiarate per errore dal presunto debitore
La Suprema Corte afferma quindi che “nulla osta a che la possibilità di emenda, mediante allegazione di errori nella dichiarazione e incidenti sull’obbligazione tributaria, sia esercitabile non solo nei limiti delle disposizioni sulla riscossione delle imposte ovvero del regolamento per la presentazione delle dichiarazioni ma anche nella fase difensiva per opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato, come appunto avvenuto nel caso di specie”.