22 Gennaio 2021

Eccezione di prescrizione delle competenze bancarie addebitate – I° parte

di Francesca Dal Porto
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L’istituto della prescrizione, nel nostro ordinamento giuridico, trova il suo fondamento nell’articolo 2934 cod. civ. che stabilisce: “Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge. Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge”.

In ambito bancario, l’eccezione di prescrizione è sovente utilizzata dalla difesa degli Istituti di credito nei confronti dei clienti che agiscono nei loro confronti per la ripetizione di somme indebitamente addebitate in conto corrente (interessi, commissioni, ecc.) nel corso del rapporto protrattosi nel tempo.

L’eccezione di prescrizione non ha la funzione di impedire l’accertamento sulla eventuale illegittimità degli addebiti contestati, bensì esclusivamente di paralizzare gli effetti pratici che da tale accertamento deriverebbero, in particolare la restituzione al cliente dei relativi importi.

L’articolo 1422 cod. civ. stabilisce infatti che l’azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione.

Le azioni di ripetizione sono quelle esperite da chi abbia eseguito un pagamento non dovuto, al fine di ottenere la restituzione totale o parziale della prestazione eseguita: nelle controversie bancarie spesso il cliente contesta la legittimità di alcuni addebiti chiedendo una rideterminazione del saldo dovuto alla Banca.

In questo caso la Banca può sollevare l’eccezione di prescrizione verificando se eventuali importi, per i quali controparte contesta l’avvenuto addebito illegittimo, possano ancora essere oggetto di ripetizione oppure possa considerarsi per gli stessi prescritto il diritto di ripetizione.

Il termine prescrizionale è disciplinato dall’articolo 2946 cod. civ.: Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”.

L’azione di ripetizione esercitabile dal correntista è soggetta al termine di prescrizione ordinario di dieci anni previsto dall’articolo 2946 cod. civ. (e ciò anche nell’ipotesi in cui la domanda di ripetizione abbia ad oggetto interessi).

Il dies a quo, decorrenza del termine di prescrizione nei rapporti di conto corrente, è previsto all’articolo 2935 cod. civ.: “La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

Il consolidato orientamento della Corte di legittimità ritiene che la disposizione dell’articolo 2935 cod. civ., rapportata all’azione di ripetizione di indebito, faccia coincidere il decorso del termine prescrizionale con il giorno in cui è stato effettuato il pagamento che si assume indebito.

Si sono formati due diversi orientamenti giurisprudenziali relativi all’individuazione del dies a quo nei rapporti bancari di conto corrente.

Tale contrasto è stato superato dalla sentenza n. 24418 del 02.12.2010 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, di fatto, ha chiarito i punti più controversi in tema di applicazione dell’istituto in analisi.

Prima di tale sentenza, infatti, l’orientamento prevalente privilegiava la cosiddetta teoria della “unitarietà del rapporto” che individuava il dies a quo nella chiusura del rapporto di conto corrente: secondo tale teoria, il termine di prescrizione decennale per l’azione di ripetizione delle somme indebitamente trattenute dalla Banca a titolo di interessi su un’apertura di credito in conto corrente decorreva dalla chiusura definitiva del rapporto.

Il contratto di conto corrente, infatti, era visto come un negozio unitario, dante luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi.

Secondo tale interpretazione, solo con la chiusura del conto si stabilivano definitivamente i crediti e i debiti tra le parti (cfr. la notissima Cassazione, n. 2262/1984; Cassazione, n. 10127/2005).

Con la sentenza della Cassazione n. 24418 del 02.12.2010 si supera la teoria della unitarietà, sostenendo che la durata del rapporto con prestazioni in denaro ripetute nel tempo non impedisce di qualificare indebito ciascun singolo pagamento non dovuto, se ciò dipende dalla nullità del titolo giustificativo dell’esborso, sin dal momento in cui il pagamento medesimo abbia avuto luogo: “(…) è sempre da quel momento che sorge dunque il diritto del solvens alla ripetizione e che la relativa prescrizione inizia a decorrere”.

Alla luce di tale interpretazione, quindi, diventa dirimente, al fine dell’individuazione del dies a quo, ossia della decorrenza del termine di prescrizione nei rapporti di conto corrente, capire quale sia il momento in cui si può affermare che abbia avuto luogo un pagamento, ossia un effettivo spostamento patrimoniale.

Si legge nella sentenza: “Occorre considerare che, con tutta ovvietà, perché possa sorgere il diritto alla ripetizione di un pagamento indebitamente eseguito, tale pagamento deve esistere ed essere ben individuabile. (…) appare indubbio che il pagamento, per dar vita ad un’eventuale pretesa restitutoria di chi assume di averlo indebitamente effettuato, debba essersi tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte di quel medesimo soggetto (il solvens), con conseguente spostamento patrimoniale in favore di altro soggetto (l’accipiens); e lo si può dire indebito – e perciò ne consegue il diritto di ripeterlo, a norma dell’articolo 2033 cod. civ. – quando difetti di una idonea causa giustificativa. (…).”

Sulla base di tale impostazione, dunque, diventano importanti la natura ed il funzionamento del contratto di apertura di credito bancario, che in conto corrente è regolata.

L’apertura di credito si attua mediante la messa a disposizione sul rapporto di c/c, da parte della banca, di una somma di denaro che il cliente può utilizzare anche in più riprese e della quale, per l’intera durata del rapporto, può ripristinare in tutto o in parte la disponibilità eseguendo versamenti che gli consentiranno poi eventuali ulteriori prelevamenti entro il limite complessivo del credito accordatogli.

Se, in presenza di un’apertura di credito, il correntista effettua prelevamenti e non si avvale della facoltà di effettuare versamenti, pare indiscutibile che non vi sia alcun pagamento da parte sua, prima del momento in cui, chiuso il rapporto, egli provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato.

Qualora, invece, durante lo svolgimento del rapporto il correntista effettui non solo prelevamenti ma anche versamenti, questi ultimi, se considerati “pagamenti”, potranno formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti).

I versamenti possono essere considerati pagamenti quando hanno lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca.

Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire, “scoperto”) cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’apertura di credito.

Qualora invece i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere, non possono essere considerati pagamenti non rappresentando alcun spostamento patrimoniale a favore dell’Istituto di Credito.

Un versamento eseguito dal cliente su un conto affidato il cui passivo non abbia superato il limite dell’affidamento concesso con l’apertura di credito, non ha lo scopo di soddisfare la pretesa della banca di vedersi restituire le somme date a mutuo (credito che, in quel momento, non è scaduto né esigibile), bensì quello di riespandere la misura dell’affidamento utilizzabile nuovamente in futuro dal correntista.

Non si può considerare, dunque, un pagamento, perché non soddisfa il creditore ma amplia (o ripristina) la facoltà d’indebitamento del correntista.

La circostanza che, in quel momento, il saldo passivo del conto sia influenzato da interessi illegittimamente computati si traduce in un’indebita limitazione di tale facoltà di maggior indebitamento, ma non nel pagamento anticipato di interessi.

Di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto.