Eccezione di prescrizione delle competenze bancarie addebitate – II° parte
di Francesca Dal PortoDalla lettura della sentenza della Cassazione n. 24418 del 02.12.2010, richiamata nel precedente contributo, appare evidente come diventi dirimente individuare la natura delle rimesse in conto corrente, al fine di capire quali di queste possano essere utilizzate per eccepire la prescrizione delle competenze addebitate (solo quelle solutorie).
Una parte della Giurisprudenza seguiva il principio espresso dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 4518/2014: “Deve osservarsi, al riguardo, che i versamenti eseguiti su conto corrente, in corso di rapporto hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens. Tale funzione corrisponde allo schema causale tipico del contratto. Una diversa finalizzazione dei singoli versamenti (o di alcuni di essi) deve essere in concreto provata da parte di chi intende far decorrere la prescrizione dalle singole annotazioni delle poste relative agli interessi passivi anatocistici (…)”.
Di fatto, con tale sentenza era stato sancito il principio per cui l’onere della prova, per eccepire la prescrizione decennale del diritto di ripetere competenze bancarie addebitate sul rapporto di c/c e ritenute illegittime, spettava alla banca che doveva dedurre per ogni singolo pagamento la natura solutoria delle rimesse o meno.
In realtà, esisteva un altro orientamento giurisprudenziale che limitava gli oneri probatori che gravavano sull’istituto di credito, ritenendo sufficiente per chi eccepisce la prescrizione provare:
- il decorso del tempo;
- l’inerzia del titolare del diritto di cui la Banca eccepiva l’avvenuta prescrizione.
Si cita a riguardo la Sentenza n. 5864/2018 del Tribunale di Milano, estensore Dott. Francesco Ferrari, nella quale si legge:
“Tale conclusione è stata contestata dalla difesa attorea, la quale in particolare, ha evidenziato l’inammissibilità dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca, per non avere individuato le rimesse solutorie.
Tale considerazione, tuttavia, non può essere condivisa, se solo si consideri come il riparto dell’onere probatorio debba essere condotto anche nell’ambito del contenzioso bancario in forza dei principi generali e, quindi, in base alle regole dettate dall’articolo 2697 c.c., secondo cui “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.
Orbene, per costante insegnamento della Cassazione l’elemento costitutivo dell’eccezione di prescrizione è costituito dal decorso del tempo, cui si aggiunge l’inerzia del titolare del diritto della cui estinzione si discute; se così è, quindi, ne consegue che la parte che eccepisca la prescrizione di un diritto sarà chiamata a provare solo il decorso del tempo, allegando l’inattività della controparte, (…).
Per effetto di tale applicazione di principi, quindi, ne consegue che la banca che eccepisca la prescrizione della pretesa ripetitoria avanzata dal correntista non sia chiamata a individuare quali rimesse siano solutorie e, quindi, siano tali da far decorrere il termine prescrizionale; per la stessa ragione, pertanto, non è corretto sostenere che l’onere della prova in ordine all’esistenza di affidamenti in conto corrente debba gravare sulla parte eccipiente e, quindi, sulla banca”.
Secondo tale impostazione, una volta che la Banca abbia provato il decorso del tempo e l’inerzia del titolare, tutte le rimesse sono da considerarsi solutorie a meno che controparte opponga l’esistenza di affidamenti e, quindi, evidenzi come le rimesse effettuate abbiano una valenza meramente ripristinatoria della quota utilizzabile dell’affidamento in conto corrente.
La prova dell’esistenza di affidamenti, in assenza della lettera di credito, può essere desunta anche per facta concludentia, ad esempio dalle risultanze della Centrale Rischi della Banca d’Italia, piuttosto che dall’esistenza di differenti tassi di interesse riportati negli estratti conto.
In questo caso, laddove non possa essere individuato il plafond dell’affidamento (dato costituente la soglia di distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie), tutte le rimesse dovranno essere considerate come ripristinatorie, a meno che la banca non provi che l’affidamento desunto fosse esistente, ma sino a un determinato importo, oltre il quale, quindi, le rimesse diventano solutorie.
In definitiva, sono rinvenibili pronunce che ritengono ammissibile la formulazione dell’eccezione di prescrizione da parte della banca senza che sia necessaria l’indicazione delle singole rimesse solutorie, ciò almeno qualora la banca contesti l’esistenza di un affidamento e pertanto si limiti ad eccepire la prescrizione con riguardo a (tutte) le rimesse in un indicato lasso temporale.
Si cita, infine, un ulteriore ed ancor più radicale orientamento di cui alla sentenza del Tribunale Di Torino del 13.11.2014 (massima a cura del Prof. Dolmetta) secondo il quale si ritiene sufficiente per la banca richiedere la prescrizione di tutte le rimesse annotate sul c/c anteriormente al decennio evitando di individuare data ed importo di ogni singola rimessa.
In questo quadro giurisprudenziale, si colloca la sentenza della Cassazione n. 2660 del 30.01.2019 (sul solco delle precedenti Cassazione n. 27704 del 30.10.2018 e Cassazione n. 18144 del 10.07.2018), sulla base della quale è sancito definitivamente come, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel versamento come mero ripristino della disponibilità accordata.
L’onere della prova dell’esistenza di un rapporto di apertura di credito compete quindi al cliente e non alla Banca; non è la Banca a dover provare il fatto negativo della inesistenza di apertura di credito, o la natura solutoria delle rimesse, che invece scaturisce automaticamente dall’assenza di prova di un rapporto di affidamento in conto corrente.
Si possono, in definitiva, tenuto conto dei più recenti orientamenti giurisprudenziali, sintetizzare i seguenti principi, in materia di onere della prova nell’eccezione di prescrizione del diritto di ripetizione delle competenze, asseritamente indebite, addebitate su un rapporto di c/c:
- il cliente, che agisce per la ripetizione dell’indebito corrisposto alla banca nel corso del rapporto di conto corrente, ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto vantato: a fronte dell’annotazione di poste passive sul suo conto corrente nell’assunto costituenti dazione indebita (per l’esistenza di un’indebita capitalizzazione, interessi non consentiti, costi non concordati, e così via), il creditore istante è tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa, ossia la dazione e la mancanza di una causa che lo giustifichi o il venir meno di questa;
- eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dalle annotazioni passive in conto, quale fatto estintivo, essa ha l’onere di allegare l’inerzia, il tempo del pagamento ed il tipo di prescrizione invocata; e l’eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, e cioè l’inerzia del titolare, e manifestato la volontà di avvalersene;
- se, a questo punto, il tempo decorso dalle annotazioni passive integra il periodo necessario per il decorso della prescrizione, diviene onere del cliente provare il fatto impeditivo, consistente nell’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quei versamenti come mero ripristino della disponibilità accordata e, dunque, possa spostare l’inizio del decorso della prescrizione alla chiusura del conto (apertura di credito che non è di per sé un contratto necessariamente riconnesso a quello di conto corrente);
- in definitiva, poichè la decorrenza della prescrizione dalla data del pagamento è condizionata al carattere solutorio, e non meramente ripristinatorio, dei versamenti, essa sussiste sempre in mancanza di un’apertura di credito. Pertanto, eccepita dalla banca la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel pagamento come mero ripristino della disponibilità accordata.