25 Marzo 2015

Ecco il punto sui depositi Iva anche alla luce della posizione europea

di Maria Paola Cattani
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La disciplina italiana dei depositi Iva è regolata dall’articolo 50-bis, del D.L. n. 331/1993, che rispecchia quanto previsto dagli artt. 154 e segg. della direttiva 2006/112/CE, al fine di rendere omogeneo il trattamento dei beni comunitari con quello riservato ai beni provenienti da Paesi terzi, che possono essere introdotti in depositi doganali senza scontare il pagamento dell’imposta fino all’importazione. La Circolare n. 12/E dell’Agenzia, pubblicata ieri, dopo aver effettuato una panoramica riassuntiva della disciplina, riepiloga le principali questioni interpretative relative ai depositi Iva, anche alla luce di quanto emerso in sede di interpello ed in base alla posizione della Corte di Giustizia Ue sul deposito Iva “virtuale”, espressa dalla sentenza del 17.07.2014, causa C-272/13.

In estrema sintesi, giova ricordare che i depositi Iva sono luoghi fisici situati in Italia, all’interno dei quali la merce viene introdotta, staziona, e poi viene estratta, che assolvono alla funzione fiscale di consentire anche all’acquirente finale di beni comunitari di assolvere l’Iva, in maniera differita, al momento dell’estrazione dei beni, mediante reverse charge. Previsione analoga è prevista parallelamente per le prestazioni di servizi relative a tali beni, anche se non effettuate materialmente nel deposito (art. 50-bis, comma 4, lett. h)).

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