Nella causa C-378/21 dell’8.12.2022, l’Amministrazione ha negato il rimborso, in quanto determinerebbe un indebito arricchimento in capo al fornitore, tenuto conto che il cliente ha precedentemente corrisposto al fornitore, in via di rivalsa, 22 euro.
Pertanto, affinché il rimborso di 12 euro sia legittimo, il fornitore dovrebbe previamente restituire al cliente tale importo.
La Corte, in esito alla propria analisi, ha affermato che, nella situazione descritta, il fornitore non è obbligato a versare la maggiore Iva erroneamente addebitata in fattura.
Infatti, il citato articolo 203, della Direttiva n. 2006/112/CE, ha l’obiettivo di evitare il rischio di danno erariale conseguente all’esercizio della detrazione da parte del cliente; rischio che non si pone nel caso di specie, in cui il cliente sia un “privato consumatore”.
Dato che l’Iva indebitamente applicata non deve essere versata all’Erario, la Corte ha ritenuto “assorbite” le ulteriori questioni sollevate dal giudice nazionale, dirette a sapere:
- se la rettifica della fattura possa essere omessa qualora, da un lato, sia escluso il rischio di perdita di gettito e, dall’altro, la rettifica della fattura non sia più possibile;
- se la rettifica dell’Iva sia preclusa dal fatto che il cliente abbia corrisposto l’imposta al fornitore, che, quindi, otterrebbe un indebito arricchimento.
Il tema illustrato è stato riproposto nell’ambito della causa C-794/23, rispetto alla quale l’Avvocato generale presso la Corte UE ha fornito le proprie conclusioni in data 19.12.2024.
Ipotizzando che l’errore di aliquota sia stato commesso dal gestore di un parco giochi e che, quindi, non sia possibile escludere che, tra i numerosi visitatori, vi siano anche clienti che rivestono la qualifica di soggetti passivi Iva, si pone la questione di quale sia la linea di demarcazione tra le due fattispecie, tenuto anche conto che l’identità dei clienti nei “contratti di massa” non viene solitamente annotata dall’impresa che effettua la prestazione.
Peraltro, è importante osservare che l’obbligo di versamento dell’Iva non dovuta, previsto dall’articolo 203, Direttiva n. 2006/112/CE, riguarda anche le fatture emesse nei confronti di soggetti passivi i quali, a causa dell’utilizzo della prestazione per fini privati, non hanno, sotto il profilo sostanziale, alcun diritto alla detrazione. Lo stesso vale per le prestazioni rese a favore di soggetti passivi ai quali, in considerazione della natura esente delle operazioni effettuate “a valle”, non spetta parimenti, sotto il profilo sostanziale, alcun diritto alla detrazione.
Secondo l’Avvocato generale, l’individuazione esatta delle fatture in relazione alle quali sussiste un rischio di perdita di gettito e di quelle per le quali tale rischio è escluso riguarda l’autonomina procedurale degli Stati membri, attenendo all’onere di esporre e provare i fatti nel procedimento tributario del rispettivo Stato membro.
Di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria deve accertare, in linea di principio, il numero delle fatture emesse nei confronti di soggetti passivi per poter affermare l’esistenza di un debito d’imposta ai sensi dell’articolo 203, Direttiva n. 2006/112/CE e, a tal fine, è possibile stimare la base imponibile qualora la stessa non possa essere quantificata, rispettando i principi di neutralità dell’imposta e di proporzionalità.
In particolare, i criteri ritenuti idonei per una stima della quota delle fatture che implicano un rischio di perdita di gettito discendono dal tipo di prestazione e dalla cerchia di clienti tipica. Anche l’identità del fornitore e il tipo di contributo reso, al fine di chiarire i fatti possono costituire criteri rilevanti per una stima.