Emissione azioni senza valore nominale e uso della riserva sovrapprezzo
di Fabio LanduzziAssonime, ne Il Caso n. 8/2018, prendendo lo spunto da una recente Massima elaborata dal Consiglio notarile di Milano – la n. 169 – compie una interessante dissertazione sulle potenzialità insite nell’utilizzo delle azioni senza valore nominale. Va premesso che, più che parlare di azioni “senza” valore nominale, sarebbe più appropriato – come si sottolinea nello stesso studio di Assonime – fare riferimento ad azioni con valore nominale “implicito” o “inespresso”; ciò a dire che il valore nominale esiste comunque, ma non è rigidamente fissato nello statuto sociale, bensì è rappresentato dal risultato della semplice divisione aritmetica fra il capitale sociale, il cui ruolo e la cui disciplina rimangono immutati, ed il numero delle azioni in circolazione.
I vantaggi che derivano dall’emettere azioni senza valore nominale sono in modo particolare associati ad una semplificazione nella esecuzione delle operazioni straordinarie che impattano sul capitale sociale e quindi sulle azioni in circolazione. Per via del fatto che il valore nominale delle azioni non è più un elemento dello statuto sociale, tanto l’ammontare del capitale sociale quanto il numero delle azioni in circolazione possono essere modificati l’uno indipendentemente dall’altro, pur sempre nel rispetto della disciplina civilistica vigente.
Una prima tangibile semplificazione consiste nella possibilità di emettere nuove azioni in occasione di un aumento di capitale a pagamento, senza dover necessariamente intervenire sul capitale sociale. In altri termini, l’assemblea straordinaria degli azionisti può deliberare l’aumento di capitale sociale a pagamento mediante l’emissione di un numero X di nuove azioni, mantenendo invariato il capitale sociale nominale. Quindi, a fronte dell’emissione delle nuove azioni – il cui numero è naturalmente parte dello statuto sociale – accompagnato dai conferimenti dei soci entranti, si ha che il valore nominale “implicito” delle azioni in circolazione diminuisce, semplicemente per il fatto che a parità di capitale sociale nominale, questo viene suddiviso in un maggior numero di azioni.
Ma dove viene contabilmente appostato il valore dei conferimenti degli azionisti entranti, dato che questo importo non è imputato ad incremento del capitale sociale? La risposta indicata nella Massima è nella riserva sovrapprezzo.
Va da subito sottolineato che tutta la procedura deve essere disciplinata dalle norme ordinariamente applicabili agli aumenti di capitale a pagamento, quindi:
- la decisione è di competenza dell’assemblea straordinaria degli azionisti ex articolo 2365 cod. civ.;
- si applica il limite di esecuzione in presenza di azioni non liberate (articolo 2438 cod. civ.);
- tutto l’apporto imputato a riserva sovrapprezzo, che in questa circostanza corrisponde al 100%, deve essere versato immediatamente (articolo 2439 cod. civ.);
- si applicano poi tutte le norme procedurali tipiche degli aumenti di capitale a pagamento.
Quanto alla imputazione dell’aumento di capitale alla riserva sovrapprezzo azioni, secondo la Massima notarile citata, la fattibilità di tale operazione discende dal fatto stesso che l’imputazione del conferimento al capitale sociale non sarebbe un elemento imprescindibile dell’operazione, poiché ciò che rileverebbe non sarebbe il profilo per così dire “contabile” della imputazione, quanto piuttosto la circostanza che a fronte dell’apporto vengono create nuove azioni sociali che partecipano a pieno titolo allo stesso capitale sociale di quelle già in circolazione.
Il sovrapprezzo è infatti la destinazione di qualsiasi apporto fuori capitale, utilizzabile perciò a pieno titolo anche in questa particolare circostanza in cui diventa la contropartita unica dell’emissione di nuove azioni. D’altronde, in dottrina si è osservato che non vi sono norme imperative che stabiliscono un vincolo di destinazione delle risorse conferite alla società, mentre detto vincolo è solo frutto delle scelte compiute secondo l’autonomia statutaria; così, vi è libertà di scelta circa quanto allocare fra capitale e sovrapprezzo in occasione del conferimento dei soci. La posizione dei creditori sociali non potrebbe risultare in questa circostanza significativamente più indebolita rispetto al caso – assolutamente lecito – in cui si decidesse di imputare al capitale solo una minima parte dell’apporto, e destinare la massima parte alla riserva sovrapprezzo.
Dall’uso della riserva sovrapprezzo quale posta di rilevazione dell’apporto correlato all’aumento di capitale a pagamento con emissione di azioni senza valore nominale deriva che tutto il conferimento in denaro deve essere integralmente versato al momento della sottoscrizione.