Emissione di fatture per operazioni inesistenti anche in assenza di vantaggio economico
di Angelo GinexIn tema di reati tributari, ai fini dell’integrazione della fattispecie delittuosa di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui all’articolo 8 D.Lgs. 74/2000, non è necessario riscontrare in capo all’ente emittente il conseguimento di un vantaggio economico. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 16353, depositata ieri 29 aprile.
La fattispecie disaminata dai giudici di vertice prende le mosse da un’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto con cui veniva applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti dei titolari di una s.r.l. per aver emesso fatture per operazioni soggettivamente false attestanti la vendita di gasolio agevolato a soggetti diversi dai reali destinatari.
Il gip disponeva altresì il sequestro preventivo delle somme di denaro depositate sui conti correnti bancari e postali, libretti di risparmio, titoli e azioni e altri strumenti simili di investimento, nonché di 13 automezzi.
Dopo due mesi, il Tribunale del riesame confermava la misura cautelare per entrambi gli indagati e modificava in melius quella personale per uno di essi. Così, al fine di ottenere l’annullamento dell’ordinanza, i due imprenditori proponevano ricorso in Cassazione ex articolo 311 cod. proc. pen.
Tra gli altri motivi, ai fini che qui interessano, veniva censurata l’illegittimità dell’ordinanza impugnata per violazione di legge e mancanza della motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti e dei gravi indizi di colpevolezza.
In particolare, secondo la tesi difensiva, sarebbe illogica e dimostrerebbe l’inconsistenza dell’impianto accusatorio la circostanza che i ricorrenti avessero emesso fatture soggettivamente inesistenti a fronte della fornitura di gasolio, laddove, invece, quali membri attivi dell’associazione, avrebbero potuto cedere gratuitamente il carburante agli altri membri del sodalizio senza procedere all’emissione di alcuna fattura, così salvaguardando le proprie posizioni.
Ebbene, la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso, osservando innanzitutto che: «le censure mosse, così come prospettate, prescindono dalle motivazioni sviluppate nella decisione impugnata e sono rivolte ad ottenere dalla Corte una rivalutazione nel merito della ritenuta sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura cautelare, inammissibile nel giudizio di legittimità».
Affermando, poi, che per la misura del sequestro preventivo non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti questo viene operato, la Cassazione ha rammentato che è sufficiente che sussista il fumus commissi delicti, vale a dire la astratta sussumibilità in una determinata ipotesi del fatto contestato (cfr., Cass. pen., sent. 30.01.2018, n. 18491).
Quanto al punto centrale della controversia, la Suprema Corte ha avuto modo di affermare tout court che la prospettazione difensiva «omette di considerare che il reato di emissione di fatture soggettivamente inesistenti, per definizione, consente al destinatario della falsa fattura di conseguire un ingiusto profitto in termini economici, ma non comporta necessariamente un analogo vantaggio in capo all’ente che la emette».
A tal proposito, si è infatti rilevato che le operazioni di emissione di fatture inesistenti vedono coinvolti due soggetti, una ditta che “emette” le fatture (la quale risponde del reato ex articolo 8 D.Lgs. 74/2000) e una ditta che le “utilizza” portandole in detrazione, inserendole nella sua contabilità (la quale risulta responsabile ai sensi dell’articolo 2 dello stesso decreto).
In tal senso, come precisato dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento: «il profitto conseguito dalla ditta, deve tenersi distinto dal profitto, solo eventuale, dell’ente emittente, pari al prezzo (compenso) per l’emissione delle fatture, di regola comunque molto inferiore al profitto dell’utilizzatore».
Pertanto, nella specie, nessun profitto, nel senso indicato dalla difesa, sarebbe scaturito alla s.r.l., anche nell’ipotesi in cui quest’ultima non fosse stata sottoposta ad amministrazione giudiziaria.
Sulla scia di tali considerazioni, da ultimo, i giudici di vertice hanno considerato “controproducente” la prospettazione dei ricorrenti, dal momento che è stata una sostanziale ammissione del fatto che i ricorrenti abbiano emesso le false fatture in nome e per conto di una società sottoposta ad amministrazione giudiziaria.