Emissione di fatture per operazioni inesistenti: l’Iva è comunque dovuta
di Marco BargagliNell’ambito della frode fiscale, il legislatore ha previsto specifiche sanzioni penali-tributarie a carico sia dell’emittente della fattura falsa, che del successivo utilizzatore.
Nello specifico, la normativa sostanziale di riferimento sanziona con la reclusione:
- da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica, in una delle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi che consentono di ridurre la base imponibile, sanzione che grava sul soggetto che annota in contabilità e riporta in dichiarazione le fatture per operazioni inesistenti (ex articolo 2 D.Lgs. 74/2000);
- da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, sanzione che grava sul soggetto che emette fatture per operazioni inesistenti (ex articolo 8 D.Lgs. 74/2000).
La fattispecie delittuosa prevista e punita dall’articolo 8 D.Lgs. 74/2000 (emissione di fatture per operazioni inesistenti), risulta integrata indipendentemente dal fatto che il documento fittizio sia effettivamente utilizzato dal destinatario nella propria dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
Trattasi, in particolare, di un reato di mero pericolo a condotta istantanea che richiede il “dolo specifico” con la finalità di permettere a terzi l’evasione, contrariamente alla fattispecie di utilizzo di fatture false, in cui il comportamento dell’agente è necessariamente preordinato a precostituire un impianto contabile artefatto idoneo a “gonfiare” gli elementi passivi contabilizzati nella dichiarazione dei redditi.
Non sussistono ormai dubbi circa la possibilità di configurare il concorso tra il reato in argomento e quello di omessa presentazione della dichiarazione, a mente dell’articolo 5 D.Lgs. 74/2000 (Corte di cassazione, Sezione III, sentenza n. 35858 del 4 ottobre 2011).
Ciò in relazione al fatto che, sulla base della disciplina tributaria, l’Iva esposta nelle fatture emesse – ancorché fittizie – è sempre dovuta e, come tale, va regolarmente dichiarata (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume I – parte II – capitolo 1 “Il sistema penale tributario in materia di imposte dirette e IVA. Disposizioni sostanziali”, pag. 154 e ss.).
In buona sostanza, ai fini Iva, non sorgono particolari difficoltà in quanto l’imposta indicata nelle fatture per operazioni inesistenti in acquisto è sempre indetraibile, mentre quella riportata nelle fatture emesse, anche se a fronte di operazioni inesistenti, è sempre dovuta.
In linea con queste sintetiche indicazioni, l’articolo 21, comma 7, D.P.R. 633/1972 prevede che se il cedente o prestatore emette una fattura per operazioni inesistenti, ovvero se indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura.
Sullo specifico tema, si è anche espressa la suprema Corte di cassazione, con la recente ordinanza n. 26983 pubblicata in data 22.10.2019.
Gli ermellini, in particolare, si sono pronunciati circa la decisione assunta dal giudice di appello, riferita all’omesso versamento dell’imposta in seguito all’emissione di operazioni soggettivamente inesistenti, che aveva accolto il ricorso del contribuente, sull’assunto che l’Ufficio non avesse provato la consapevole partecipazione della società contribuente al meccanismo fraudolento.
In merito, l’Agenzia delle entrate aveva dedotto che nella specie non si ricadeva nell’ipotesi di detrazione d’imposta su fatture passive, ma sull’omesso versamento dell’imposta dovuta esposta nelle fatture false emesse dal cedente.
I Supremi giudici di legittimità, hanno dapprima richiamato l’assetto normativo previsto a livello comunitario: l’articolo 21, comma 7, D.P.R. 633/1972 costituisce infatti l’attuazione dell’articolo 21, paragrafo 1, lett. c), della sesta Direttiva 77/388/CEE (come modificata dalla direttiva 91/680/CEE del Consiglio, del 16 dicembre 1991) al quale è subentrato l’articolo 203 Direttiva CE 2006/112 in base al quale “chiunque indichi l’Iva in una fattura o in ogni altro documento che ne fa le veci è debitore di tale imposta”.
Quindi, tale soggetto è debitore dell’Iva indicata in una fattura indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla in ragione di un’operazione soggetta ad imposta (v. Corte giustizia UE 18 giugno 2009, Stadeco, causa C- 566/07; Corte di giustizia UE 31 gennaio 2013, causa C-643/11, LVK-56 EOOD, punti 53-56; Corte giustizia 31 gennaio 2013, causa C- 642/11, Stroy trans EOOD, punto 44).
Infatti, il diritto comunitario non impedisce agli Stati membri di ritenere la redazione di fatture fittizie che indicano indebitamente un’imposta sul valore aggiunto come un tentativo di frode fiscale e di applicare, simmetricamente, le ammende o le sanzioni pecuniarie previste dal diritto nazionale.
In linea con i principi unionali suesposti, la Corte di cassazione ha nel tempo già avuto modo di affermare che:
- l’articolo 21, comma 7, D.P.R. 633/1972 va interpretato nel senso che il corrispondente tributo viene, in realtà, ad essere considerato «fuori conto», e la relativa obbligazione, conseguentemente, «isolata» da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, ed estraniata, per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione (tra IVA «a valle» ed IVA «a monte») che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’articolo 19 del D.P.R. n. 633/1972; e ciò anche perché l’emissione di fatture per operazioni inesistenti ha sempre costituito condotta penalmente sanzionata come delitto (cfr. Corte di cassazione, sentenze 12995/2014, n. 14337/2002, n. 7289/2001);
- l’emittente di fatture fittizie non può giovarsi dell’emissione di una nota di credito per evitare il pagamento dell’Iva indebitamente fatturata perché in tema di Iva, la speciale procedura di variazione prevista dall’articolo 26 del richiamato D.P.R. 633/1972 presuppone necessariamente, come si desume univocamente dalla considerazione della funzione perseguita dalla norma, che l’operazione per la quale sia stata emessa fattura, da rettificare perché venuta meno in tutto o in parte, sia vera e reale e non già del tutto inesistente.
In definitiva, accogliendo la tesi dell’Amministrazione finanziaria, i giudici di Piazza Cavour hanno sancito che se la fattura si riferisce a un’operazione inesistente, non è consentita la variazione in diminuzione.
Di conseguenza, il cedente o falso prestatore deve sempre versare l’imposta esposta in fattura, mentre l’acquirente o il committente non può in alcun caso portare in detrazione l’Iva per assenza del suo presupposto, ossia l’acquisto di beni o servizi acquistati nell’esercizio d’impresa, arte o professione (Corte di cassazione, sentenza n. 12353/2005).