Enti non commerciali ed esenzione Imu: posizione “rigida” della Cassazione
di Luca CaramaschiIn un precedente contributo abbiamo esaminato come la recente giurisprudenza di merito ha configurato l’ipotesi di esenzione da Imu e Tasi per gli immobili che vengono direttamente utilizzati dagli enti non commerciali nella loro attività “istituzionale”.
In particolare le pronunce richiamate vertevano sui temi degli immobili concessi in comodato e quindi non utilizzati direttamente dall’ente non commerciale e su quello degli immobili utilizzati dall’ente non commerciale per lo svolgimento dell’attività in regime di convenzionamento con la Pubblica Amministrazione.
Sul primo tema, con la sentenza n. 2696 del 27.4.2018, l’undicesima sezione della CTR Lazio ha sostenuto che va riconosciuta l’esenzione anche se un ente non commerciale titolare di un immobile lo concede in comodato a un altro ente non profit, qualora i due enti svolgano la stessa attività, perseguono le medesime finalità istituzionali e per il suo utilizzo non venga richiesto dal concedente il pagamento di alcun canone di locazione.
Tale recente pronuncia non è avvenuta in un contesto isolato, atteso che anche con la precedente sentenza (la n. 271/2/2017 del 25.10.2017) della CTP Reggio Emilia, i giudici avevano riconosciuto l’esenzione da Imu per un immobile di un ente ecclesiastico che lo aveva concesso ad altro ente ecclesiastico per svolgervi attività didattica, facendo quindi ritenere agli operatori che, ai fini dell’esenzione, non dovesse sussistere la necessaria coincidenza tra chi “possiede” l’immobile e chi lo “utilizza” per attività istituzionali esenti dal tributo.
Nel solco di detto orientamento, peraltro, si è inserita anche la CTR Lazio la quale, con la sentenza n. 2696 del 27.04.2018, ha anch’essa affermato il principio per cui l’esenzione va riconosciuta se un ente non commerciale titolare di un immobile lo concede in comodato a un altro ente non profit.
Già nel precedente contributo si era osservato che, trattandosi di giurisprudenza di merito, occorre certamente attendere i rispettivi giudizi di Cassazione per capire se i citati principi verranno confermati anche in sede di esame di legittimità.
L’interesse è legittimo atteso che, con una sentenza del 2015, la n. 15025, la Suprema Corte di Cassazione aveva categoricamente escluso l’esenzione proprio nel caso di utilizzo in comodato di un immobile da parte di un ente diverso da quello che ne risultava titolare.
Seppur non direttamente riferita alle pronunce di merito sopra citate, la Cassazione, con la recentissima ordinanza n. 8073 del 21.03.2019, si è collocata nel solco interpretativo tracciato nel 2015, confermando che, per l’esenzione, è necessaria l’utilizzazione diretta, sovvertendo quindi la favorevole conclusione cui era pervenuta la CTR Emilia Romagna (sentenza depositata il 2 gennaio 2017) che aveva rigettato l’appello proposto da un Comune nei confronti di una Parrocchia con il quale l’Ente locale aveva richiesto il tributo riguardo a un immobile di proprietà della stessa Parrocchia, concesso in comodato ad una Associazione che gestiva un circolo ricreativo di ispirazione cristiana.
La sentenza della CTR aveva ritenuto infatti sussistenti i presupposti per usufruire della richiesta esenzione dal tributo, ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lett. i), D.Lgs. 504/1992, ritenendo che l’attività svolta dalla succitata associazione fosse riconducibile ad attività oggettivamente esente, così come entrambi i soggetti, Associazione e Parrocchia, potessero fruire dell’esenzione Ici in virtù delle loro caratteristiche soggettive.
I giudici di legittimità, al contrario, hanno ricordato che l’orientamento consolidato è saldamente ancorato al concetto di utilizzazione diretta del bene da parte dell’ente possessore come condizione necessaria perché a quest’ultimo spetti il diritto all’esenzione previsto dal citato articolo 7 D.Lgs. 504/1992, non ritenendo condivisibile la spettanza dell’agevolazione nei casi di utilizzo indiretto.
Anche in relazione alla seconda questione, quella riguardante gli immobili utilizzati per lo svolgimento di attività in regime di convenzione con la P.A., si rinviene una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione che, con l’ordinanza n. 10124 dell’11.04.2019 ha aggiunto un ulteriore e forse decisivo “tassello” alla tesi che nega l’esenzione dai tributi locali in relazione agli immobili utilizzati per lo svolgimento di attività sanitarie in convenzione.
Con la richiamata pronuncia, infatti, i giudici di legittimità hanno sconfessato la posizione assunta dal Ministero Economia e Finanze con l’articolo 4, comma 2, D.M. 200 del 19.12.2012, che, riprendendo i concetti espressi con precedente circolare 2/DF/2009, ha ritenuto sempre svolte con modalità non commerciali le attività accreditate, contrattualizzate o convenzionate con la P.A.
Tale provvedimento, infatti, afferma la Cassazione, non ha valore di legge, andando quindi al di là dei suoi poteri, posto che l’articolo 91-bis D.L. 1/2012 di cui il citato D.M. ne contiene l’attuazione, non demanda allo stesso la definizione del concetto di “modalità non commerciali” ma unicamente l’individuazione delle modalità di calcolo nei casi di utilizzazione mista di un immobile.
Viene così confermata la posizione espressa sempre dalla Cassazione con la precedente sentenza n. 3528/2018 (e ancor prima dall’ordinanza della stessa Corte n. 10754/2017) nella quale i giudici di legittimità hanno stabilito che gli enti non commerciali non sono esonerati dal pagamento delle imposte locali per il fatto di essere accreditati o convenzionati con la pubblica amministrazione, non garantendo la sottoscrizione di una convenzione con l’ente pubblico che l’attività venga svolta in forma non commerciale e che i compensi richiesti siano sottratti alla logica del profitto.
In virtù della ulteriore e recente pronuncia della Cassazione perde quindi peso la pur recente pronuncia della CTR Lombardia sezione VIII, n. 4400 del 18.10.2018, con la quale i giudici di secondo grado avevano aperto uno spiraglio favorevole, affermando che non può essere contestata l’esenzione Imu ad un ente non commerciale che svolge attività di scuola dell’infanzia sulla base di accordi con l’amministrazione comunale che prevedono l’erogazione di contributi in conto gestione oltre a vincoli sulle tariffe in ragione delle fasce di reddito delle singole famiglie degli iscritti alla scuola.
È l’esistenza di tali vincoli ispirati ad un principio di solidarietà che, secondo i giudici di merito, impedirebbe all’ente una gestione concorrenziale, fatto che giustificherebbe il riconoscimento dell’esenzione.
Alla luce delle recentissime evoluzioni giurisprudenziali si comprende, pertanto, come i giudici di legittimità interpretino i requisiti normativi previsti per la fruizione dell’esenzione da Imu e Tasi, in relazione agli immobili utilizzati dagli enti non commerciali nella propria attività istituzionale, con estrema rigidità, nonostante le continue aperture verso una interpretazione più “sostanziale” da parte della giurisprudenza di merito.