Errore dichiarativo opponibile solo senza pagamento di imposte
di Angelo GinexIl contribuente che, nel redigere la dichiarazione fiscale, abbia riconosciuto a suo danno importi in misura superiore a quelli effettivi, senza procedere anche al pagamento della maggiore imposta, può, in sede giudiziale e senza limiti sostanziali o temporali, opporre alla pretesa dell’Amministrazione finanziaria per l’omesso o insufficiente versamento che l’originaria dichiarazione era viziata da un errore di fatto o di diritto; ove, invece, all’erronea dichiarazione abbia anche fatto seguito, in tutto o in parte, il pagamento del maggior importo non dovuto, il contribuente è tenuto ad esperire le procedure di rimborso, nel rispetto delle modalità e dei termini di decadenza previsti, esclusa la possibilità di opporre, in giudizio, l’eventuale credito vantato per l’indebito pagamento.
È questo il principio chiarificatore sancito dalla Corte di Cassazione, con sentenza 9 marzo 2018, n. 5728.
La vicenda trae origine dalla impugnazione di una cartella di pagamento, emessa a seguito di controllo automatizzato ex articolo 36-bis D.P.R. 600/1973 in relazione a tributi dichiarati e non versati, sulla base della considerazione per la quale l’iscrizione a ruolo era stata determinata dall’erronea compilazione della dichiarazione dei redditi, poi rettificata con dichiarazione integrativa.
Le doglianze del contribuente venivano accolte dai Giudici sia in primo che in secondo grado e, pertanto, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, eccependo, tra gli altri motivi, la violazione e falsa applicazione degli articoli 36-bis D.P.R. 600/1973, 38 D.P.R. 602/1973 e 2, comma 8-bis, D.P.R. 322/1998. In particolare, essa contestava l’intervenuta decorrenza del termine a disposizione del contribuente per emendare la dichiarazione dagli errori commessi e, comunque, l’inammissibilità della dichiarazione integrativa successivamente all’emissione della cartella di pagamento ex articolo 36-bis citato.
Come noto, la vexata quaestio relativa alla emendabilità della dichiarazione fiscale è stata già affrontata dalle Sezioni Unite, con sentenza 30 giugno 2016, n. 13378, ove si afferma che il contribuente è sempre ammesso, in sede contenziosa, a provare che egli non ha giustificatamente versato la (maggiore) somma pretesa dall’Amministrazione finanziaria con la cartella di pagamento, poiché l’originaria dichiarazione era viziata da un errore di fatto o di diritto, senza che rispetto a tale difesa siano configurabili decadenze di sorta.
Tuttavia, nella pronuncia in rassegna, i Giudici di Piazza Cavour hanno ulteriormente chiarito che “ciò vale soltanto nella ipotesi in cui l’opposizione miri a limitare o contrastare la pretesa fiscale che si sia tradotta nell’emissione di una cartella di pagamento o di un altro atto impositivo, ma non anche per introdurre una nuova e contrapposta richiesta ovvero per far valere un credito da parte del contribuente”.
Detto in altri termini, il contribuente, autore di una dichiarazione inesatta a proprio danno, ove abbia dato seguito alla dichiarazione stessa, provvedendo a versare (in tutto o in parte) una somma più elevata rispetto a quella effettivamente dovuta, non può contrapporre, nella sede contenziosa, alla pretesa dell’Amministrazione l’esistenza di un diritto di rimborso ovvero di un credito per aver versato un importo erroneamente computato (cfr., Cass., sentenze nn. 21730/2017 e 21242/2017).
Ciò, sulla base della considerazione per la quale il processo tributario ha carattere impugnatorio, avendo ad oggetto esclusivamente il controllo della legittimità, formale e sostanziale, di uno degli atti indicati nell’articolo 19 D.Lgs. 546/1992, sicché è strutturalmente incompatibile con tale rito la possibilità di proporre una domanda riconvenzionale.
Ne deriva, quindi, che il contribuente, in siffatta ipotesi, ha semplicemente l’onere di presentare apposita istanza di rimborso ovvero di riconoscimento di un credito d’imposta, secondo le specifiche modalità e procedure previste dalla normativa vigente, con l’osservanza dei termini stabiliti a pena di decadenza, salva la possibilità, se del caso, di impugnare l’atto di diniego opposto dall’Amministrazione finanziaria.
In definitiva, secondo l’insegnamento offerto dai Giudici di legittimità, occorre distinguere due ipotesi:
- se il contribuente, a seguito dell’errore dichiarativo, non ha eseguito il versamento della maggiore imposta, può opporre detto errore in sede contenziosa;
- viceversa, se ha eseguito (in tutto o in parte) il pagamento, poi rivelatosi indebito, egli non potrà più opporre il suo credito, ma dovrà avviare un distinto procedimento di rimborso.