Errori dichiarativi e impugnazione della cartella
di Luigi FerrajoliL’annoso tema del pagamento dell’Irap da parte dei lavoratori autonomi continua a formare oggetto di dibattito giurisprudenziale.
In recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha affrontato la specifica questione della possibilità di contestare in sede giudiziale l’errata esposizione in dichiarazione di un debito Irap da parte di una giovane avvocatessa per la quale, tuttavia, non poteva dirsi integrato il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, essendosi occasionalmente avvalsa dell’ausilio di un collega per il disbrigo degli adempimenti di cancelleria durante il periodo della gravidanza.
Nello specifico, la questione analizzata dai Supremi Giudici traeva origine dall’impugnazione, da parte della professionista, di una cartella di pagamento emessa sulla base della dichiarazione dell’Irap per l’anno 2002, avendo l’Ufficio ravvisato nel caso di specie la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’imposta locale.
A seguito di sentenza sfavorevole emessa dal giudice di prime cure, la contribuente aveva proposto appello evidenziando la carenza del requisito dell’autonoma organizzazione. Il Giudice regionale non ha condiviso le ragioni della professionista affermando che le spese per l’acquisto di beni strumentali e per beni immobili di un certo importo, nonché l’aver corrisposto a terzi compensi, erano tutti elementi in grado di integrare il presupposto dell’autonoma organizzazione, inoltre l’aver indicato l’importo Irap in dichiarazione avrebbe in ogni caso comportato l’obbligo di effettuare il versamento con facoltà (soltanto in seguito alla dimostrazione della carenza del presupposto impositivo ai fini Irap) di chiederne il rimborso.
Sul punto, con la sentenza n. 16747 depositata lo scorso 7 luglio 2017, la Corte di Cassazione ha chiarito che “l’impugnazione della cartella esattoriale, emessa in seguito a procedura di controllo automatizzato ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis non è preclusa dal fatto che l’atto impositivo sia fondato sui dati evidenziati dal contribuente nella propria dichiarazione, in quanto tale conclusione presupporrebbe la irretrattabilità delle dichiarazioni del contribuente che, invece, avendo natura di dichiarazioni di scienza, sono ritrattabili in ragione della acquisizione di nuovi elementi di conoscenza o di valutazione“.
Precisata la possibilità di contestare gli errori dichiarativi mediante impugnazione della cartella di pagamento, diviene indispensabile verificare entro quale termine sia possibile emendare gli eventuali errori commessi in fase dichiarativa.
In base alla precedente versione dell’articolo 2, comma 8-bis, D.P.R. 322/1998, al contribuente era concessa la facoltà, anche in sede di giudizio, di correggere eventuali errori che avessero inciso sull’obbligazione tributaria determinando l’indicazione di un maggiore imponibile, di un maggiore debito d’imposta o, comunque, di un minore credito, unicamente entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo. Tuttavia, secondo l’interpretazione del Giudice di legittimità, il contribuente può contestare la debenza del tributo, frutto di errore nella dichiarazione presentata, nonostante la scadenza del predetto termine, atteso che le dichiarazioni dei redditi sono in linea di principio sempre emendabili, anche in sede processuale, qualora “per effetto dell’errore commesso derivi l’assoggettamento del dichiarante ad un tributo più gravoso di quello previsto dalla legge”.
Per dovere di completezza, si segnala che l’articolo 2, comma 8-bis, D.P.R. 322/1998 è stato recentemente riformato con il D.L. 193/2016 il quale ha, in primo luogo, eliminato la distinzione tra dichiarazione “pro contribuente” e dichiarazione “a sfavore” e, in secondo luogo, previsto per entrambi i casi un unico nuovo termine di presentazione coincidente con il termine di decadenza dell’accertamento.
La Suprema Corte ha, dunque, ritenuto di dover accogliere le ragioni esposte dalla contribuente, ivi compresa la censura della sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto irrilevante, ai fini della decisione, la verifica del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione il quale, com’è ormai noto, ricorre quando il contribuente:
- sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità o interesse;
- impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione;
- si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive.