Errori Iva: sanzioni previste e valutazioni di convenienza
di Roberto CurcuLa perfezione è divina, e l’uomo è naturale che commetta degli errori; considerato che sia i commercialisti che i contabili sono esseri umani, dobbiamo fare i conti con il fatto che abbiamo commesso, commettiamo e commetteremo degli errori.
Peraltro, si ritiene che le entità divine siano eterne, mentre il contabile ed il commercialista hanno il tempo contato, sia per quanto riguarda i tempi di permanenza a questo mondo, sia di permanenza in ufficio o – meglio – di tempo da dedicare ai vari adempimenti.
Il tempo è denaro. Ipotizzando che un’ora di straordinario di una persona addetta alle registrazioni costi euro 30, siamo sui cinquanta centesimi al minuto.
Detto ciò, è il mondo Iva quello che è più farcito di adempimenti e di correlate sanzioni.
Da un punto di vista teorico dobbiamo distinguere gli errori che comportato l’applicazione di sanzioni penali, di quelle amministrative proporzionali, di quelle formali fisse, e di quelle meramente formali che non sono proprio sanzionabili.
A livello pratico, concentrandoci solo sulle ultime due fattispecie di sanzioni, si potrebbero distinguere le violazioni in quelle che è meglio non commettere, e quelle per le quali va valutato il rapporto tra tempo risparmiato con rischio ed entità della possibile sanzione. Ovviamente chi scrive non vuole offrire suggerimenti etici, ma solo considerazioni pratiche.
Gli errori formali sono quelli che non incidono sulla corretta liquidazione del tributo e che di solito sono sanzionati con una sanzione fissa: si tratta ad esempio di ritardi nell’emissione delle fatture o negli invii dei corrispettivi, omissioni o ritardi nei reverse charge, indicazioni di dati non corretti nei modelli, errati o omessi invii di comunicazioni varie, quali le LIPE o gli esterometri, ecc…
Tra gli errori formali la norma prevede la sottocategoria di quelli “meramente formali”, che non sono sanzionabili; in particolare, gli errori meramente formali sono “…le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo”.
Ora, si potrebbe pensare che l’attenzione debba essere prestata a non commettere gli errori sanzionabili, mentre su quelli meramente formali si potrebbe soprassedere; a livello pratico, però, si potrebbe giungere alla soluzione opposta.
Con la circolare 6/E/2023 l’Agenzia delle Entrate ha fornito un importante chiarimento riguardo alla sanzionabilità di certi errori: “Il codice “natura” non è un elemento previsto dall’articolo 21 del DPR n. 633 del 1972 e, pertanto, la sua errata indicazione, laddove non incida sulla corretta liquidazione dell’imposta, rappresenta una violazione meramente formale”.
La motivazione per cui un codice natura sbagliato (ipotizziamo N2.2 anziché N6.2…) non è un errore sanzionabile, ad avviso di chi scrive e per stessa ammissione implicita dell’Agenzia delle Entrate, non è (solo) in quanto non incide sulla liquidazione del tributo e sulle attività di controllo, ma per il principio di legalità delle sanzioni.
L’Agenzia precisa infatti, implicitamente, che solo le violazioni alle disposizioni della legge (articolo 21 del Decreto Iva) possono dare luogo ad errori punibili, ma non quelle riferite a dati che sono richiesti da un allegato tecnico di un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, il quale non è atto che ha forza di legge.
In questo senso, ad esempio, la norma prevede che in caso di operazione non imponibile, sia obbligatorio indicare in fattura solo la dicitura “operazione non imponibile”, essendo solo eventuale l’indicazione della relativa norma nazionale o comunitaria. Il codice sulla natura dell’operazione che contraddistingue tali operazioni nel tracciato della fattura elettronica (N3.1, N3.2, N3.3, N3.4…), è quindi un dato non previsto dalla norma, ma solo da un allegato, ed il suo errore non dovrebbe essere sanzionabile.
Ora, come citavo in premessa, chi scrive non intende certamente offrire suggerimenti di tipo etico a chi legge, ma solo pratici, in funzione della valorizzazione in denaro del tempo.
Se questi errori sono rilevati direttamente da un controllo automatizzato, è verosimile che un domani qualcuno possa farci perdere tempo per chiedere come mai le bozze dei nostri registri non coincidono con quelle predisposte dall’Agenzia. In questo senso, il grado di attenzione nel cercare di evitare questi errori – ancorché non sanzionabili – deve tenere conto del costo che dovrà essere sopportato un domani per giustificare certe divergenze.
Invece, vi è una violazione non meramente formale, e quindi sanzionabile, sulla quale alcuni ragionamenti pratici dovrebbero essere presi: si tratta delle violazioni connesse all’esterometro, sanzionate con 2 euro per ogni violazione, che diventano 0,67 euro qualora – una volta contestate – si decida di pagarle entro 60 giorni dal ricevimento dell’atto di contestazione.
67 centesimi, conti alla mano, valgono circa un minuto e venti secondi del personale addetto alle registrazioni, e molte volte si è in presenza di un errore che non è direttamente rilevabile da un controllo automatizzato e probabilmente non verrà mai contestato.
In questo senso, potrebbe costituire quindi un poco giustificabile dispendio di risorse, ad esempio, fare approfondite ricerche in rete per cercare il CAP di un fornitore estero al fine di indicare correttamente un dato che nemmeno al verificatore più pignolo potrebbe mai interessare, o cercare una partita Iva estera quando il fornitore ha indicato in fattura quella italiana, ecc….