Esclusa la non operatività se il bene non è impiegabile con profitto
di Fabio GarriniLa Cassazione, nella recente sentenza 5080 del 28 febbraio 2017, ha esposto la (condivisibile) tesi per cui la società, se ha un bene strumentale non noleggiato a causa di avverse situazioni di mercato, non può ricadere nella disciplina penalizzante prevista per le società non operative. L’indirizzo pare “utilizzabile” anche nel caso in cui a non essere locato è un immobile, la situazione che la maggior parte dei colleghi si trova a trattare nel confrontarsi con società che non raggiungono il livello minimo di ricavi. Va però rimarcato che le conclusioni della Suprema Corte paiono applicabili al caso delle immobiliari solo in alcune specifiche situazioni.
Il caso
La sentenza in commento riguarda una società che non aveva raggiunto il livello minimo di ricavi a causa del fatto che il bene posseduto non è stato dato in noleggio per un certo periodo di tempo.
In particolare, tale stato di inattività era dipeso dalla mancata stipula di un nuovo contratto di noleggio del macchinario, giustificato da un mercato altamente specializzato in cui poter utilizzare il bene (si trattava di una fresa per specifiche attività edili, ossia perforazione del terreno per la creazione di tunnel). Peraltro tale società, dopo che per due anni non è riuscita a stipulare un contratto di noleggio profittevole, ha provveduto a cedere il bene, attivando lo stato di liquidazione.
Sul punto, la CTR (che aveva dato ragione al contribuente), ha ritenuto che la mancata stipula da parte della contribuente dei contratti decisivi per l’esercizio della propria attività operativa era dipesa non tanto dalla volontà della società, ma dalla non convenienza delle offerte di noleggio della fresa, che si traduceva in una obiettiva situazione di impedimento al suo uso proficuo e redditizio.
Già in passato la Cassazione (sentenza n. 21358/2015) aveva osservato come, in materia di società di comodo, i parametri previsti dall’articolo 30 della L. 724/1994 sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive (e straordinarie), specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto. Nella pronuncia in commento, la Cassazione osserva come che la nozione di “impossibilità” di cui alla disposizione in esame va intesa non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato.
Come interpretare la posizione?
La posizione sopra descritta presenta degli aspetti di sicuro interesse, anche se non del tutto generalizzabili: non basta infatti che un bene non produca ricavi per suo inutilizzo per evitare la disciplina delle società di comodo. Nel caso di specie, infatti, la giustificazione era legata al fatto che il bene non era profittevolmente impiegabile, ma viene evidenziato che esso aveva un mercato ristretto. Possiamo concludere che le immobiliari che posseggono dei beni molto particolari possono sfruttare tale posizione; si pensi, ad esempio, al caso di un opificio industriale strutturato per svolgere determinate attività, oppure a ville di grande pregio locate a clientela di alto livello. Beni per i quali il mercato è sicuramente ristretto.
Questa opportunità pare più difficile da cogliere quando la società possiede immobili che potremmo definire “generici”, per cui esiste effettivamente un mercato (anche se, ahimè, oggi davvero depresso): si tratta di appartamenti, negozi, uffici, magazzini, ecc.. Per tutti questi beni continuano ad esserci le tradizionali problematiche legate alla dimostrazione del mancato raggiungimento dei livelli minimi di ricavi.
Un passaggio della sentenza pare comunque di grande interesse: “la nozione di “impossibilità” di cui alla disposizione in esame va intesa non in termini assoluti quanto piuttosto in termini economici, aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato”.
Tale affermazione pare di portata più ampia e porterebbe a constatare che l’impiego non profittevole determini una impossibilità di impiego. Quindi, se il mercato offre un canone di locazione del tutto inadeguato rispetto alla potenziale redditività dell’immobile, l’immobiliare potrebbe decidere di non locarlo: questa non sarebbe qualificabile come sua scelta ma piuttosto come una causa di forza maggiore imposta dal mercato.
Anche questa sentenza fa trasparire come la disciplina della “non operatività” abbia urgente bisogno di una profonda revisione.