Esdebitazione: esiste una soglia minima del soddisfacimento dei creditori?
di Ernestina De MedioLa giurisprudenza di legittimità, in ossequio alla ratio ispiratrice della legislazione in materia di esdebitazione, ha affrontato ancora, di recente, il tema dei presupposti essenziali per l’accesso al beneficio dell’esdebitazione di un soggetto fallito, ritenendo sufficiente che una parte dei debiti, oggettivamente considerati, sia stata pagata in sede di ripartizione dell’attivo, rimettendo al prudente apprezzamento del giudice del merito la valutazione comparativa della consistenza di quella “parte” rispetto a quanto complessivamente dovuto, per poi precisare che il “prudente apprezzamento del giudice” vada interpretato nel senso che, se ricorre il c.d. “requisito soggettivo”, il beneficio dell’esdebitazione va di regola concesso, a esclusione del caso in cui i creditori concorsuali non siano stati soddisfatti neppure in parte, ovvero siano stati soddisfatti in percentuale “affatto irrisoria”.
L’istituto dell’esdebitazione
L’esdebitazione consiste nella liberazione del soggetto (imprenditore o anche consumatore) dai debiti non onorati e, dunque, l’inesigibilità dei crediti rimasti insoddisfatti dopo la chiusura della liquidazione giudiziale (vecchio fallimento), e/o di procedura concorsuale che preveda la liquidazione dei beni.
In altri termini, il debitore fallito, che non abbia potuto ripianare integralmente i propri debiti attraverso la procedura concorsuale che lo ha colpito, può ugualmente ottenere la cancellazione dei debiti residui purché ricorrano determinate condizioni.
L’obiettivo dell’istituto è quello di assicurare un ragionevole equilibrio tra l’interesse dei creditori concorsuali e l’interesse del debitore e del sistema economico generale, consentendo proprio al debitore di conseguire, a determinate condizioni ed entro limiti ben definiti, la liberazione dai debiti anteriori non soddisfatti nella procedura.
La funzione consiste, appunto, nella liberazione dai debiti e nella conseguente inesigibilità dal debitore dei crediti rimasti insoddisfatti nell’ambito di una procedura di liquidazione giudiziale.
L’istituto dell’esdebitazione ha fatto il suo ingresso nel nostro ordinamento in sede di Riforma, operata con il D.Lgs. 5/2006, con l’introduzione agli articoli 142, 143 e 144 della relativa disciplina.
La ratio sottesa all’istituto in esame è da rinvenire nell’intenzione di consentire all’imprenditore fallito di reinserirsi nel sistema economico, eventualmente avviando una nuova attività economica, previa liberazione dai debiti rimasti non soddisfatti all’esito della procedura concorsuale.
L’esdebitazione costituisce il “punto di equilibrio” tra l’obiettivo, proprio della procedura fallimentare, del soddisfacimento integrale dei creditori del soggetto fallito e l’esigenza di un tempestivo rientro di questi nel circuito economico; mediante la concessione del beneficio de quo, pertanto, il fallito persona fisica è posto al riparo da eventuali azioni individuali esercitabili dal creditore, in tutto o in parte insoddisfatto, dopo la chiusura della procedura fallimentare.
In altri termini, esso rende non aggredibile il patrimonio del fallito dalle azioni esecutive dei creditori, i quali potranno soddisfare la propria pretesa creditoria soltanto nei confronti dei garanti o eventuali coobbligati del debitore.
Infatti, se, come rilevato, l’esdebitazione determina l’inesigibilità nei confronti del debitore dei crediti rimasti insoddisfatti, con la conseguenza che i creditori rimasti insoddisfatti non potranno agire giudizialmente nei confronti del debitore per ottenerne il pagamento, tuttavia resta salva la possibilità per i ceditori di agire nei confronti dei coobbligati, dei fideiussori e degli obbligati in via di regresso del debitore, per ottenere il pagamento della parte rimasta insoddisfatta dal loro credito nell’ambito della procedura cui è stato sottoposto il patrimonio del debitore.
L’importanza dell’esdebitazione è poi cresciuta quando, a seguito dell’articolo 14-terdecies, L. 3/2012, la stessa è stata applicata anche alle persone fisiche “non fallibili”, come i consumatori, i professionisti e le piccole imprese “sotto soglia”, nell’ambito della disciplina del sovraindebitamento.
La successiva Direttiva 2019/1023/UE (c.d. Direttiva Insolvency) ha ulteriormente promosso la liberazione dai debiti in tempi rapidi del debitore onesto e meritevole (discharge), in modo da consentire la ripartenza della sua attività (fresh start) a beneficio dell’intero sistema economico.
In particolare, la Direttiva ha stabilito che: “nelle procedure che non comprendono un piano di rimborso, i termini per l’esdebitazione dovrebbero decorrere al più tardi dalla data dell’adozione, da parte di un’autorità giudiziaria o amministrativa, della decisione di apertura della procedura o dalla data della determinazione della massa fallimentare”.
Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), entrato in vigore il 15 luglio 2022, ha, pertanto, modificato e rafforzato l’istituto rispetto alla Legge Fallimentare, disciplinando in modo compiuto e organico, in attuazione dei principi della Direttiva Insolvency, e sostituendo la disciplina di cui alla L. 3/2012.
Con l’esdebitazione vengono anche meno le cause di ineleggibilità e di decadenza collegate all’apertura della liquidazione giudiziale (articolo 278, comma 1, Codice). Si consente, così, a un soggetto di essere rieletto come amministratore di società (ai sensi dell’articolo 2382, cod. civ.), come pure di poter esercitare una professione subordinata all’iscrizione a un determinato albo (ad esempio, avvocato, titolare di farmacia, geometra, etc.), di assumere l’ufficio di tutore, curatore, giudice popolare, esattore delle imposte, etc..
Restano tuttavia esclusi dall’esdebitazione, in ragione della particolare natura degli stessi o delle specifiche esigenze di tutela del creditore, in particolare, gli obblighi di mantenimento e alimentari; i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale; le sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti.
Possono beneficiare dell’esdebitazione sia persone fisiche, sia società (di persone o di capitali), sia altri enti, sottoposti a liquidazione giudiziale. Se si tratta di una società o altro ente, le condizioni per l’esdebitazione devono sussistere nei confronti di tutti i soci illimitatamente responsabili e dei legali rappresentanti (articolo 278, comma 5, Codice). Pertanto, la mancanza delle condizioni, con riferimento anche a uno dei soci o amministratori, preclude il beneficio per la società e per tutti gli altri soci.
Il quadro normativo
La disciplina dell’esdebitazione ha subito significative modifiche con l’introduzione del Codice (D.Lgs. 14/2019), che ha eliminato il requisito oggettivo del soddisfacimento dei creditori almeno “in parte”, previsto dall’articolo 142, L.F..
Nel sistema previgente, la parziale soddisfazione dei creditori era considerata elemento imprescindibile per l’accesso al beneficio, sebbene la giurisprudenza avesse adottato interpretazioni meno restrittive, riconoscendo il beneficio anche in caso di soddisfacimento non integrale, purché non simbolico o irrisorio.
L’articolo 280, Codice, applicabile alle procedure iniziate dopo il 15 luglio 2022, ha definitivamente eliminato tale requisito, enfatizzando, invece, la valutazione della condotta del debitore (requisito soggettivo).
La Suprema Corte da sempre ritiene sufficiente che una parte dei debiti, oggettivamente considerati, sia stata pagata in sede di ripartizione dell’attivo e la valutazione comparativa della consistenza di quella “parte” (in rapporto a quanto dovuto nel complesso) è rimessa al “prudente apprezzamento del giudice di merito”.
Con la sentenza n. 7550/2018, la Suprema Corte aveva già ribadito la tesi estensiva per l’esdebitazione, ritenendo che potesse essere concessa, una volta valutati i requisiti soggettivi della meritevolezza, quando, come previsto dall’articolo 142, L.F., vengono soddisfatti almeno in parte i creditori.
Per “almeno in parte” deve intendersi la soddisfazione almeno parziale dei crediti presi congiuntamente; conseguentemente, non è necessario che venga soddisfatta almeno in parte ogni categoria di creditori (ad esempio, privilegiati, chirografari).
Le più recenti pronunce evidenziano e ribadiscono che l’individuazione di quella parziale soddisfazione – che insieme al “requisito soggettivo” previsto dall’articolo 142, comma 1, L.F., consente di accedere al beneficio dell’esdebitazione – deve essere fatta attraverso un’interpretazione in linea con il “favor debitoris” e anche con il “favor” per il corrispondente istituto unionale del “discharge of debts”, che ha portato il Legislatore italiano a rimuovere il “requisito oggettivo” dalle “condizioni per l’esdebitazione” previste dall’articolo 280, Codice.
Secondo la giurisprudenza maggioritaria, la suddetta condizione oggettiva (pagamento dei crediti in parziale soddisfazione) si realizza anche quando alcune categorie di creditori non siano stati pagati nemmeno in minima parte, dovendosi intendere la “parzialità” riferita al numero totale dei creditori, e non, invece, alle categorie di crediti.
Tale ultimo indirizzo interpretativo è stato confermato e avvalorato dalla sentenza n. 27562/2024 emessa dalla Corte di Cassazione, investita della questione per presunta violazione e/o erronea applicazione dell’articolo 142, comma 2, L.F., e dell’articolo 12, preleggi.
Nel caso di specie, il socio illimitatamente responsabile di una Snc, dopo la chiusura del fallimento della società con ripartizione finale dell’attivo, proponeva istanza di esdebitazione ai sensi dell’articolo 142, L.F..
Tuttavia, nonostante l’esistenza delle condizioni di meritevolezza ex articolo 142, comma 1, L.F., al socio-ricorrente veniva negato, nel I e nel II grado di giudizio, di accedere all’esdebitazione.
Il socio-ricorrente, pertanto, ha fatto ricorso al giudice di legittimità affermando che: “presupposto fondamentale – e imprescindibile – per ottenere il beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti è la meritevolezza del fallito, nel caso in esame pacifica”.
In tale occasione, la Corte, richiamando il suo consolidato indirizzo, ha anzitutto confermato che per la sussistenza del c.d. “requisito oggettivo”, ai fini dell’esdebitazione è sufficiente che una parte dei debiti sia stata pagata in sede di ripartizione dell’attivo, rimettendo al prudente apprezzamento del giudice del merito la valutazione comparativa della consistenza di quella “parte” rispetto a quanto complessivamente dovuto.
Successivamente, ha precisato che il comma 2 dell’articolo 142, L.F., deve essere interpretato nel senso che, se ricorre il c.d. “requisito soggettivo”, il beneficio dell’esdebitazione va di regola concesso, a esclusione del caso in cui i creditori concorsuali non siano stati soddisfatti neppure in parte, ovvero siano stati soddisfatti in percentuale “affatto irrisoria”.
Ed è proprio su questa natura “affatto irrisoria” che la Corte di Cassazione ha voluto soffermarsi, per evidenziare che essa dev’essere riscontrata solo quando il concreto “soddisfacimento” non sia tale da rappresentare il relativo concetto nemmeno parzialmente, e comunque “tenuto conto di tutte le risultanze della procedura”.
Al riguardo, la definizione di soddisfacimento irrisorio – che giustifica il rigetto della richiesta di esdebitazione – resta parametrata a percentuali minime, e in effetti tali da considerarsi irrilevanti, per modo da poter essere ritenuta dal giudice del merito solo ove il concreto soddisfacimento, tenuto conto di tutte le risultanze della procedura, non sia tale da rappresentare il concetto neppure parzialmente.
Non può affermarsi, ha evidenziato la I Sezione della Suprema Corte, con ordinanza n. 15246/2022, che sia irrisoria, in rapporto al passivo nel suo complesso, la percentuale di soddisfacimento dei crediti privilegiati del 13,89%. A una simile percentuale, infatti, ha evidenziato la Suprema Corte, non è pertinente associare in sé e per sé il concetto di completa irrisorietà, neppure in base alla presa a parametro dell’intero passivo.
La condizione di soddisfacimento, almeno parziale, dei creditori concorsuali, prevista dall’articolo 142, comma 2, L.F., deve intendersi realizzata anche quando talune categorie di creditori (nella specie, i creditori chirografari) non abbiano ricevuto alcunché in sede di riparto[1].
Il recente arresto della Corte di Cassazione
Con la sentenza n. 27562/2024, la Corte di Cassazione ha di recente chiarito che l’accertamento della natura “affatto irrisoria” in questione non deve in alcun modo ridursi alla registrazione del dato percentuale del soddisfacimento dei creditori: ciò, non tanto perché il comma 2 dell’articolo 142, L.F., si limita a escludere il beneficio ove non vi sia stata proprio soddisfazione, senza alcuna previsione di una soglia o misura minima di soddisfacimento, quanto, piuttosto, perché l’indirizzo nomofilattico prevalente ha considerato il prudente apprezzamento del giudice di merito come una valutazione che non può risolversi meramente come operazione matematica, ma deve considerare tutte le peculiarità e le proporzionalità di ogni singola procedura.
Afferma, infatti, che, essendo pacifico che il presupposto fondamentale e imprescindibile per ottenere il beneficio della liberazione dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti è la meritevolezza del fallito, di tutte le risultanze della procedura di cui bisogna necessariamente tenere in considerazione ai fini dell’ammissione al beneficio dell’esdebitazione, serve sicuramente tenere presente anche l’entità dell’attivo acquisito e di quello che è stato possibile liquidare, il numero dei creditori e l’ammontare dei costi prededucibili, senza fermarsi a rilevare l’irrisorietà della percentuale di soddisfazione dei creditori concorsuali.
Infatti, la condizione oggettiva si realizza anche quando talune categorie di creditori non sono stati pagati affatto, dovendosi intendere la parzialità rapportata al numero complessivo dei creditori e non anche alle specifiche categorie dei crediti; ragionando diversamente si andrebbe ad ammettere l’esdebitazione solo in presenza di una situazione patrimoniale che avrebbe consentito l’accesso al concordato, ovvero si andrebbe ad attribuire all’istituto un ruolo del tutto marginale.
Pertanto, secondo la Corte di Cassazione, al debitore non dovrebbe essere negato il beneficio dell’esdebitazione a causa della scarsa consistenza del suo patrimonio, una volta che sia stato in ogni caso escluso che quella minore entità sia la conseguenza di sue eventuali condotte ostative, così come esplicate nel comma 1 dell’articolo 142, L.F..
Considerazioni conclusive
L’individuazione della parziale soddisfazione che al ricorrere degli ulteriori presupposti soggettivi dà accesso al beneficio esdebitatorio, va interpretata in coerenza con il “favor debitoris” che ispira la norma interna e con il “favor” per l’omologo istituto unionale della discharge of debts, di cui al Titolo III della Direttiva Insovency, che ha, infatti, indotto il Legislatore nazionale a eliminare il requisito oggettivo dalle condizioni per l’esdebitazione indicate nell’articolo 280, Codice.
Il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte stabilisce che, in conformità a quanto sancito nell’articolo 142, L.F., e alla ratio dell’istituto, l’esdebitazione dev’essere concessa al sussistere del requisito soggettivo della “meritevolezza” (mancanza di tutte le ragioni soggettive ostative), potendo negarsi unicamente quando, considerate tutte le circostanze concrete della procedura, il soddisfacimento dei creditori concorsuali risulti meramente simbolico.
La Corte, dunque, ha voluto evitare che un debitore, considerato “meritevole” ai sensi del comma 1 dell’articolo 142, L.F., possa essere escluso dal beneficio dell’esdebitazione a causa della scarsa consistenza del suo patrimonio, per ragioni di ordine meramente quantitativo, indipendenti dalle sue condotte.
Rispetto alla disciplina precedente, il nuovo Codice ha introdotto in materia alcune novità significative, quali la dichiarazione di esdebitazione del Tribunale operata d’ufficio se avviene in sede di chiusura della procedura, occorrendo, invece, la domanda del debitore qualora siano trascorsi 3 anni e la procedura non sia ancora chiusa; ancora, il diritto del debitore di conseguire l’esdebitazione decorsi 3 anni dal momento dell’apertura della liquidazione e, ove la procedura si chiuda prima, la possibilità di ottenerla con il provvedimento di chiusura.
Ancora, la riduzione del periodo temporale minimo che deve intercorrere tra un’esdebitazione e l’altra: 5 anni, anziché gli 8 o 10 previsti precedentemente.
Inoltre, viene introdotto il limite massimo di 2 esdebitazioni; di non minor rilievo la possibilità di esdebitazione per le società, sia di persone sia di capitali, e soprattutto la previsione che l’esdebitazione della società ha effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili.
L’esdebitazione, dunque, non è più subordinata alla soddisfazione, anche parziale, dei creditori, pur essendo previsto, a tutela dei creditori, che se entro 4 anni dal decreto di ammissione del giudice sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore complessivamente al 10%, il beneficiario deve provvedere al pagamento dei debiti limitatamente alle sopravvenute utilità.
[1] Cassazione, sentenza n. 21985/2012, in Diritto fallimentare, 2013, II, pag. 154, con nota di A. Cerrato, “Considerazioni critiche sulla c.d. “teoria estensiva” del “soddisfacimento parziale dei creditori concorsuali” ex articolo 142, capoverso, L.F., quale presupposto oggettivo per ottenere il beneficio dell’esdebitazione”; Cassazione, sentenza n. 9767/2012, in Fallimento, 2012, pag. 1313, con nota di P. Bosticco, “La suprema corte conferma l’interpretazione meno rigida dei requisiti di ammissibilità dell’esdebitazione”.





