Posto che il valore nominale dei crediti oggetto di acquisto è superiore rispetto al costo sostenuto per l’acquisto (come di norma accade), sono stati richiesti opportuni chiarimenti in merito alla corretta qualificazione fiscale di tale differenziale positivo, in considerazione del fatto che i crediti in questione non originano da prestazioni professionali rese alla clientela dello Studio associato, cessionario del credito d’imposta.
L’Agenzia delle entrate preliminarmente osserva che il legislatore nulla ha disposto in merito alla rilevanza reddituale del differenziale positivo derivante dall’acquisto di crediti da detrazioni edilizie, ma si è limitato soltanto a stabilire che il mancato utilizzo in compensazione del credito nell’anno di “competenza” comporta la perdita dello stesso, essendo preclusa la possibilità di riportare in avanti o di richiedere a rimborso il credito non utilizzato nell’annualità. Pertanto, nel silenzio della norma, l’Ufficio è dell’avviso che l’eventuale imponibilità fiscale del predetto differenziale positivo non può che essere ricercata nelle regole generali di tassazione del reddito, verificando se tale “provento” possa ricondursi ad una delle seguenti categorie di reddito di cui all’articolo 6, Tuir: redditi di capitale, redditi lavoro autonomo o redditi diversi.
Sul punto, l’Agenzia prende atto del fatto che tali proventi non possono essere collocati in alcuna delle categorie reddituali indicate, in quanto tra i redditi di capitale vi rientrano soltanto eventuali differenziali positivi che derivano da un impiego di capitale, del tutto assente nel caso di specie, poiché l’acquisto del credito è regolamentato da un corrispettivo. Allo stesso modo, i differenziali positivi (derivanti dall’acquisto di crediti d’imposta ad un valore inferiore rispetto a quello nominale) non possono essere qualificati redditi di lavoro autonomo e neppure corrispettivi derivanti dalla cessione di elementi immateriali, di cui all’articolo 54, Tuir. Infine, tali plusvalori non possono rientrare nemmeno nella categoria residuale dei redditi diversi di cui all’articolo 67, Tuir, in quanto non allocabili in nessuna delle fattispecie ivi previste. Più in particolare, secondo l’Agenzia delle entrate non sono inquadrabili tra i redditi diversi derivanti dalla cessione di titoli o certificati di massa (lett. c-ter), in quanto nell’elencazione contenuta nella norma non si contemplano i differenziali in questione. Del pari, richiamando un proprio precedente documento di prassi (circolare n. 165/E/1998), l’Agenzia esclude che tali differenziali possano rientrare nei proventi inquadrabili nella successiva lett. c-quinquies ,dell’articolo 67, Tuir, che annovera “le plusvalenze ed altri proventi (….) realizzati mediante cessione a titolo oneroso ovvero chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale e mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di crediti pecuniari o di strumenti finanziari, nonché quelli realizzati mediante rapporti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto”.
A chiusura della propria risposta, l’ufficio conclude che, in assenza di una espressa previsione normativa, che attribuisca rilevanza reddituale al predetto differenziale positivo, l’acquisto posto in essere dallo studio associato non genera alcun reddito imponibile in capo allo stesso.
Resta fermo che, come già chiarito dalla circolare n. 23/E/2023, i crediti acquisiti ai sensi dell’articolo 121, D.L. 34/2020, applicando lo sconto in fattura per prestazioni professionali rese nei confronti di committenti (che hanno esercitato l’opzione prevista), costituisce un provento percepito nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo assoggettato a tassazione, ai sensi dell’articolo 54, Tuir.