Esenzione dalla ritenuta per gli interessi corrisposti alla controllante estera
di Marco BargagliNella letteratura internazionale-tributaria, il “Treaty shopping” è conosciuto tra gli addetti ai lavori come un meccanismo elusivo che sfrutta le agevolazioni fiscali previste dagli accordi internazionali che, come noto, sono finalizzate a prevenire fenomeni di doppia imposizione economica.
Il disegno evasivo in rassegna ha la chiara finalità di ridurre o, in alcuni casi azzerare, la ritenuta alla fonte prevista in caso di pagamenti di dividendi, interessi e royalties c.d. “passive income” e viene in concreto realizzato interponendo, nella transazione economica, uno o più soggetti tra il Paese di origine del reddito (c.d. Paese della fonte ad esempio l’Italia) e quello in cui risiede il destinatario finale estero del medesimo reddito (reale beneficiario dei flussi).
Il Commentario al modello di convenzione Ocse definisce “beneficiario effettivo” il percettore dei redditi che gode del semplice diritto di utilizzo dei flussi reddituali (right to use and enjoy) e non sia obbligato a retrocedere gli stessi ad altro soggetto sulla base di obbligazioni contrattuali o legali, desumibili anche in via di fatto (unconstrained by a contractual or legal obligation to pass on the payment received to another person).
Da tale breve definizione possiamo concludere che il soggetto che percepisce i redditi, per essere considerato il beneficiario effettivo, deve essere il titolare giuridico dei medesimi flussi, avendone il pieno diritto di utilizzo, senza avere alcun obbligo di retrocessione degli stessi nei confronti di altri soggetti economici.
Proprio in tema di beneficiario effettivo, si cita il recente orientamento espresso dalla suprema Corte di cassazione la quale, con la sentenza n. 14756 del 10.07.2020, ha stabilito che l’esenzione dalla ritenuta prevista dall’articolo 26-quater D.P.R. 600/1973 spetta anche nell’ipotesi di interessi erogati alla controllante residente nell’Unione Europea retrocessi, da quest’ultima, alla propria casa madre europea.
Nel caso di specie, infatti, la prima società comunitaria che aveva ricevuto i flussi reddituali non si era limitata ad operare quale società meramente interposta, ma aveva svolto una significativa attività finanziaria non rivestendo, pertanto, i caratteri di una struttura di puro artificio.
Gli Ermellini hanno sancito che la valutazione del carattere artificioso di una società è maggiormente importante in caso di una holding che si limiti a detenere partecipazioni, senza svolgere alcuna attività sostanziale.
Già in passato, sulla base di un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, la suprema Corte ha delineato le caratteristiche del “beneficiario effettivo”, in relazione al pagamento di dividendi, interessi e canoni (rectius royalties).
Come sopra illustrato, tale clausola generale dell’ordinamento fiscale internazionale è finalizzata ad impedire che i soggetti possano abusare dei trattati fiscali attraverso pratiche di treaty shopping, con lo scopo di riconoscere la protezione convenzionale a contribuenti che, altrimenti, non ne avrebbero avuto diritto o che avrebbero subito un trattamento fiscale comunque meno favorevole.
Come rilevato in giurisprudenza “il treaty shopping implica lo sfruttamento delle differenze nei trattati stipulati fra le varie nazioni, mediante la frapposizione di un soggetto residente in uno Stato terzo (conduit) nel flusso reddituale tra lo Stato della fonte e quello del beneficiario effettivo. Pertanto, può fruire dei vantaggi garantiti dai trattati il “beneficiario effettivo”, ossia solo il soggetto sottoposto alla giurisdizione dell’altro stato contraente, che abbia l’effettiva disponibilità giuridica ed economica del provento percepito, realizzandosi altrimenti una traslazione impropria dei benefici convenzionali o addirittura un fenomeno di non imposizione” (cfr. Corte di cassazione, sezione 5, sentenza n. 24287 del 30.09.2019).
Infatti nel caso degli agenti, dei nominees e delle conduit companies, che operano quali fiduciari, il precettore degli interessi non ne è il beneficiario effettivo, in quanto il medesimo non ha il diritto di disporre degli interessi percepiti, ma ha l’obbligo di trasferirli ad altro soggetto.
Importanti considerazioni vengono formulate circa la società c.d. conduit che viene definita come un soggetto che si frappone nei rapporti tra erogante e beneficiario finale, come soggetto percipiente solo formalmente, la cui costituzione non è supportata da motivazioni economiche apprezzabili diverse dal risparmio fiscale.
I giudici di piazza Cavour:
- definiscono la società “condotto” come mero “canale di transito” dei redditi, quindi dalla fonte al beneficiario finale, sicché la scelta di “canalizzazione” si giustifica unicamente nelle più vantaggiose implicazioni fiscali del “transito”;
- rilevano che il “beneficiario effettivo”, ha sia la titolarità che la disponibilità del reddito percepito e non è tenuto ad alcun trasferimento dello stesso a terzi.
In definitiva, non possono essere ricomprese tra i “beneficiari effettivi” le “società relais” (società interposte), ossia quelle società che, sebbene formalmente titolari di redditi, dispongono nella pratica soltanto di poteri molto limitati, risultando essere semplici fiduciarie o semplici amministratori agenti per conto delle parti interessate.
Nel caso esaminato dalla Corte di cassazione, accogliendo la tesi del contribuente, è stato confermato l’orientamento espresso dal giudice di appello il quale, attenendosi ai principi giurisprudenziali già espressi in apicibus, ha fornito una precisa e congrua motivazione nella quale ha indicato con precisione le ragioni per cui la società destinataria dei flussi reddituali era l’effettivo beneficiario.
In particolare, la società comunitaria che aveva percepito i proventi dalle controllate, svolgeva il ruolo di una vera e propria holding di partecipazione, come centrale finanziaria internazionale dell’intero gruppo, per gestire tutte le esigenze di tesoreria e finanziamento.
Inoltre:
- i redditi percepiti dalla stessa società risultavano fiscalmente tassati nel Paese estero di residenza;
- la società aveva l’incarico di armonizzazione degli investimenti e di gestione dei flussi finanziari, ad essa confluendo i proventi finanziari delle società del Gruppo e non soltanto quelli della controllata italiana;
- non vi era alcun obbligo giuridico di retrocedere i flussi a soggetti terzi e, pertanto, la società intermedia godeva di piena titolarità e disponibilità dei redditi percepiti.